Foto: Da sinistra: Giorgio La Pira, Aldo Moro, Giuseppe Dossetti all’Assemblea Costituente

 

Giuseppe Dossetti, genovese ma reggiano di adozione, nato nel 1913 morto nel 1996, giurista e professore, partigiano, partecipò alla vita della Democrazia Cristiana come leader della corrente di sinistra, fino al 1951, quando abbandonò la politica diretta per poi essere ordinato sacerdote nel 1959. In quella data il gruppo dossettiano nella Democrazia Cristiana fu sciolto. Il dossettismo però continuò ad esistere e ad influire snche in seguito, si può dire fino i nostri giorni. Per esempio, il Presidente Sergio Mattarella può essere considerato un dossettiano.

Dossetti era uno dei quattro “Professorini” insieme a Lazzati, Fanfani e La Pira, dai quali nel 1947 era nata la rivista Cronache sociali che rappresentava l’anima progressista e avanzata del cattolicesimo italiano e il cui ultimo numero uscì appunto nel 1951.

Nel 1946 Dossetti fu eletto nell’Assemblea Costituente ed ebbe un notevole ruolo nella elaborazione della Costituzione repubblicana. Fu lui a proporre di suddividere il lavoro in Commissioni ed egli presiedette quella sui principi fondamentali della Costituzione, lavorando spesso con Togliatti. In vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948 Dossetti espresse posizioni molto critiche rispetto a De Gasperi e ai Comitati civici di Gedda. Non apprezzò l’abbandono da parte di De Gasperi del governo tripartito DC-PCI-PSI, che aveva guidato il Paese fino alle prime elezioni politiche nel ‘48 nello spirito della Resistenza, né apprezzò la costituzione di un governo monocolore democristiano con la presenza di esponenti liberali. Fu critico anche sulla vittoria elettorale della DC del 18 aprile 1948, come era stato critico verso la campagna elettorale incentrata sull’urto frontale con le sinistre. Fu anche contrario all’entrata dell’Italia nel blocco occidentale, sostenendo invece la neutralità.

Con il prevalere della linea di De Gasperi, Dossetti finì per considerare impossibile il proprio progetto politico e uscì dal partito. Nel 1951 si dimise dalla direzione nazionale e nel 1952 da deputato. Il dossettismo direttamente politico finì lì.

Nel 1952 Dossetti fonda a Bologna una istituzione culturale, il Centro di Documentazione, trasformato poi nell’Istituto di studi religiosi per diventare alla fine Fondazione Giovanni XXIII, presieduta a lungo dall’amico Giuseppe Alberigo e attualmente da Alberto Melloni. La scelta di Bologna come città di adozione era dovuta all’arrivo in città di Giacomo Lercaro, arcivescovo e cardinale. Tra Dossetti e Lercaro ci fu un’ampia collaborazione.

Nel 1959 Dossetti viene ordinato sacerdote. Il cardinale Lercaro lo porta con sé come “teologo privato” al Concilio Vaticano II, convocato da Giovanni XXIII nel dicembre 1961 e che iniziò nel 1962. Don Dossetti svolge una notevole influenza in senso progressista all’interno del Concilio, sia in forma sotterranea, dietro le quinte come un “partigiano” come egli stesso ebbe a dire, sia alla luce del sole. In particolare Lercaro ottenne da Paolo VI la nomina di don Dossetti a Segretario unico dei quattro Moderatori dei lavori assembleari, i cardinali Agagianian, Doepfner, Lercaro e Suenens. Era Dossetti a scrivere i loro interventi in aula, in un passaggio molto importante di messa all’angolo della Curia Romana nella conduzione dei lavori conciliari. In quella veste Dossetti escogitò l’idea di sottoporre a tutti i Padri conciliari una serie di quesiti in forma di domanda sul tema della collegialità episcopale, per far emergere nel Concilio una linea apertamente progressista, quesiti che, prima ancora di essere consegnati ai Padri, si poterono leggere su l’Avvenire d’Italia diretto da Raniero La Valle, molto vicino al cardinale Lercaro. Dossetti dovette autosospendersi, ma aveva comunque già ottenuto un importante esito nella linea del “rinnovamento”. Così scrive Roberto De Mattei: “Se Rahner dettava le linee teologiche, Dossetti … suggeriva la strategia procedurale. Sono state sottolineate le molte analogie fra il lavoro di Dossetti all’assemblea costituente italiana del 1946 e la sua attività di perito conciliare”.

Dopo l’uscita di Dossetti dalla Democrazia Cristiana altri assunsero la sua linea, però anche trasformandola. Fu il caso della “svolta a sinistra” impressa prima da Fanfani e poi da Moro soprattutto nel decennio 1958-1968 e poi, con complesse vicende politiche, fino alla morte di Moro nel 1978 per mano delle Brigate Rosse. Non c’è identità tra dossettismo e moroteismo, ma Dossetti stesso ha rivelato di aver puntato molto su Moro come erede delle propr4ie posizioni e nell’area morotea gravitarono molti politici legati al dossettismo.

Nel 1975 nacque la “Lega Democratica” di Pietro Scoppola, Achille Ardigò, Ermanno Gorrieri, Francesco Traniello, Paolo Prodi, Romano Prodi, Paola Gaiotti de Biase, Roberto Ruffilli. Era il periodo del “dissenso cattolico”, del confuso fermento suscitato dal Concilio, della proposta di Berlinguer del “compromesso storico”, del successo del PCI alle amministrative del 1975, del possibile “sorpasso” della DC, dell’ingresso nelle liste elettorali del PCI di alcuni indipendenti cattolici: Raniero La Valle, Piero Pratesi, Mario Gozzini e altri. Più tardi, nel 1993, nacquero i “Cristiano sociali” di Gorrieri e Pierre Carniti. Tutte queste forme di mobilitazione culturale e politica non coincisero col dossettismo ma non ne furono nemmeno indipendenti.

Negli anni Ottanta, soprattutto con la segreteria di Ciriano De Mita iniziata nel 1982, i dossettiani “dilagano” sia nel partito che nel sistema di potere. Il dossettiano e bolognese Beniamino Andreatta collega il dossettismo con la finanza tramite l’operazione del Banco Ambrosiano e impronta un capitalismo gradito alla sinistra, progettando lo smantellamento dell’IRI, ossia dell’industria di Stato. Il dossettiano Romano Prodi sarà l’ultimo presidente dell’IRI. In questa fase i dossettiani hanno un nuovo grande nemico: il PSI di Bettino Craxi,

Nei primi anni Novanta il monaco Dossetti entra ancora in campo. Si pronuncia a sostegno del Pool Mani Pulite e con lo scritto “Sentinella, quanto resta della notte?” chiama a raccolta i partigiani della Costituzione contro – a suo dire –  l’”eversione” democratica berlusconiana. Il capo del pool di Milano Francesco Saverio Borrelli pronuncia il suo famoso “Resistere, Resistere, Resistere” proprio a Montesole. Di contro viene seguita con favore e promossa l’evoluzione del PCI in PdS e poi in PD, processo al quale i dossettiani danno un grande contributo fino a realizzare una confluenza sistematica dei politici cattolici dentro il PD che ormai eredita direttamente il dossettismo storico e con esso coincide. Il dossettismo ha posto fine alla presenza “nonima” dei cattolici in politica, portando a compimento una presenza “anonima”. Tutti i parlamentari direttamente o indirettamente dossettiani, a parte rarissime eccezioni, hanno sempre votato in parlamento per le leggi contrarie al diritto naturale e alla dottrina morale cattolica.

Nel 1996 don Giuseppe Dossetti tiene a battesimo l’Ulivo di Romano Prodi, uomo profondamente legato a Dossetti. Quando nacque l’Ulivo, Dossetti ne piantò simbolicamente uno nel suo ritiro di Montesole. La fine della Democrazia Cristiana a seguito dell’inchiesta Mani Pulite toglieva di mezzo il principale ostacolo al progetto dossettiano che ora si sarebbe potuto dispiegare. Il dossettismo poteva ora esercitare una egemonia anche sulla sinistra

Poco dopo questi eventi, il 15 dicembre 1996 don Dossetti morì a Monteveglio. È sepolto a Montesole, tra le tombe delle vittime dell’eccidio di Marzabotto.

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Stefano Fontana
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Direttore dell'Osservatorio Card. Van Thuận