Si sta ampliando l’interesse degli osservatori per la nozione di “società palliativa”. Questo concetto mi sembra interessante non solo perché può fotografare la tendenza dominante delle società occidentali, ma anche e soprattutto perché permette di capire come sia possibile l’incontro tra un certo pensiero liberale e il sistema del controllo sociale e politico. Come mai il soggetto occidentale, sostanzialmente libertario oltre che liberale, accetta poi di essere sorvegliato e “tracciato” nei suoi movimenti, nelle sue relazioni, nelle sue scelte e nei suoi valori? Perché accetta il sistema cinese dei “crediti sociali”, ossia del monitoraggio politico degli atteggiamenti per avere accesso ai diritti?  Il nostro Osservatorio ha dedicato al “Modello cinese” il suo 13mo Rapporto sulla Dottrina sociale della chiesa nel mondo, cercando di analizzare, tra gli altri aspetti, i motivi del fascino che esso esercita in Occidente, ove comincia a venire applicato con serietà. Una chiave interpretativa di questo fenomeno sta proprio nel concetto di “società palliativa”, la quale, in fondo, è un ritorno a Hobbes, ossia allo scambio della libertà con la sicurezza.

Per società palliativa si intende la società che protegge i cittadini dal dolore, da intendersi non solo come dolore fisico da combattere con il sistema sanitario, ma anche come sofferenza più genericamente intesa, come insicurezza psicologica, sforzo, tensione, lotta, eroismo, tutti aspetti della vita questi ultimi che comportano dolore. La società palliativa evita i divieti, gli obblighi e le punizioni che in apparenza sostituisce col dialogo e la motivazione, ma non cessa così di esercitare un potere, solo lo rende accettato e accettabile. Ad ognuno è lasciato di intrattenersi con se stesso dentro il sistema informativo globale, ma con ciò è sottoposto ad un controllo altrettanto totale, però confezionato in modo che sia gradevole e perfino ricercato. La società è anestetizzata, siamo tutti messi in una quarantena permanente, non è il potere a colpevolizzare i cittadini, sono i cittadini ad essere indotti a colpevolizzare se stessi. Durante la pandemia i cittadini hanno censurato i propri comportamenti ben prima che il potere li vietasse e quando poi li ha vietati i cittadini erano già preparati ad accettarli con convinzione. La Chiesa cattolica ha limitato il proprio agire prima che lo Stato intervenisse con le proprie limitazioni e andando oltre a queste ultime con un eccesso di zelo palliativo; “Anche i sacerdoti si esercitano nel distanziamento sociale e indossano la mascherina. Sacrificano del tutto la fede sull’altare della sopravvivenza. In chiave paradossale, l’amore per il prossimo si manifesta come una presa di distanza. La virologia esautora la teologia. Il racconto della resurrezione cede il passo in tutto e per tutto all’ideologia della salute e della sopravvivenza. Dinanzi al virus, la fede si riduce a una farsa” (Byung-Chul Han). Durante la pandemia anche la limitazione dei diritti fondamentali è stata accettata senza discussione, la gente si è messa in quarantena da sola. Lo stato di eccezione è diventato permanente, col consenso di molti. L’americano David Borris parla di un’esistenza senza dolore come una sorta di diritto costituzionale: “l’anestesia permanente e prescritta  conduce ad un ottundimento spirituale”.

Secondo Francis Fukuyama la storia doveva concludersi con la vittoria, per eliminazione di tutti i concorrenti, dell’”ultimo uomo” liberale. Ora, però, la società palliativa combina la sorveglianza bio-politica con la democrazia liberale la quale, davanti ad una emergenza continua, accetta di rinunciare ai diritti liberali e si mette autonomamente in quarantena. Un tempo il soggettivismo liberale e il culto occidentale della privacy ci facevano guardinghi verso il potere e perfino la raccolta di dati per il censimento veniva vista con sospetto. Oggi “accettiamo di essere passati ai raggi “x” senza nulla proferire. Il capitalismo della sorveglianza viene accettato come garanzia della sopravvivenza e della confortevolezza. Il consenso si spinge fino ad accettare i progetti transumani (tecnogenetici), quando la sofferenza e perfino la noia o la fatica saranno completamente bandite in via preventiva.

La società palliativa, quindi, spiega il totalitarismo consensuale di oggi, la mollezza delle società occidentali che si concedono al dirigismo del potere per convinta adesione e ringraziando del controllo cui sono sottoposti, la nostra placida dipendenza dagli algoritmi dell’ingegneria politica, La pandemia ha funzionato da “shok” che, secondo Naomi Klein, è il momento propizio per stabilire un nuovo sistema (il grande Reset) e permettere la formazione  di un regime di sorveglianza biopolitica digitale praticamente invulnerabile. Tale regime sarà non più di controllo esteriore ma di controllo interiore o meglio di controllo esteriore tanto più efficace in quanto sarà interiore.

Dicevo all’inizio che in fondo si tratta di un ritorno a Hobbes. La libertà che porta al patto sociale ha bisogno del potere e si consegna ad esso: “I patti senza la spada non sono che favole” (De Cive). Il potere non è meno Leviatano se, anziché imporre dall’esterno, plasma le coscienze dall’interno. La società palliativa si fonda sulla libertà per limitare la libertà mediante il libero consenso dei cittadini: il Green Pass è presentato come una occasione per essere liberi. Il problema allora è di che libertà si parla. Se è quella di Hobbes, ossia una libertà assoluta, allora non può che confluire nel dispotismo: “Partendo dalla libertà illimitata, concludo con un illuminato dispotismo” afferma un nichilista ne I Demoni di Dostoevskij. Ciò vale anche se si tratta di un dispotismo “smart”, come quello della società palliativa o, domani anche qui da noi, del modello cinese.

Nelle valutazioni della società palliativa di solito mancano due dimensioni che invece io metterei in primo piano. Il potere politico si impegna a garantire al cittadino la “serenità” aiutandolo a fare a meno delle leggi della morale naturale. La natura è vista come fonte di inquietudine. L’aborto a spese dello Stato, il cambiamento di genere a spese dello Stato, la scelta di morire a spese dello Stato, la possibilità di aver figli anche per una coppia omo, sono, in fondo, espressioni di una società palliativa che interviene per eliminare il disagio, la frustrazione, il dolore. Per questo, però, la società palliativa non può essere che un grande artificio. E l’artificio deve eliminare il riferimento a Dio, l’artificio è sempre ateo.

Stefano Fontana

(Foto: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:2015_Byung-Chul_Han_(cropped)2.jpg#/media/File:2015_Byung-Chul_Han_(cropped)2.jpg)

Riferimenti

Byung-Chul Han, La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite, Einaudi, Torino 2020.

B.Dumont, Une société palliative, “Catholica”, n. 154, Hiver 2022, pp. 65-68.

Byung-Chul Han, La società senza dolore, Einaudi, Torino 2021, Pagg. 96, € 13

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