Il realismo della conoscenza nel libro di Stefano Fontana

Commento al cap. 1 di: Stefano Fontana, La Filosofia cristiana. Uno sguardo unitario sugli ambiti del pensiero, Fede & Cultura, 2021, pp. 18-23.

Stefano Fontana, nel capitolo sull’ontologia di questo suo libro, richiama le cinque conoscenze del senso comune, ovvero ciò che l’uomo può conoscere con certezza. Lo fa con il riferimento alla speculazione di san Tommaso d’Aquino, che non introduce direttamente il termine «senso comune», ma ne tratteggia il significato nella sua opera. Il concetto di «senso comune» è poi introdotto e sistematizzato soprattutto dai teologi tomisti Réginald Garrigou-Lagrange (1877-1964) e Antonio Livi (1938-2020).

In sostanza, il senso comune dimostra l’infondatezza delle posizioni filosofiche scettiche o pirroniste, che negano la capacità dell’uomo di pervenire a una qualche certezza. Le posizioni scettiche generano una sfiducia nella ragione umana che, assieme alla pretesa di onnipotenza del razionalismo, danno una visione dell’uomo distorta e lontana dalla realtà. Esiste invece, scrive Fontana, l’evidenza di «un sistema organico di certezze necessarie e universali», che deriva dalla capacità primordiale della mente di conoscere immediatamente l’essere.

Conoscenza certa di cinque verità

Se la prima cosa che si conosce è l’essere e se questo è il fondamento degli enti, si giunge ad una prima evidenza, che corrisponde alla prima conoscenza primaria e fondamentale: ci sono le cose e l’uomo è dentro questo sistema di enti. Persino alcuni autori del New Realism contemporaneo hanno dovuto ammettere – come fece l’epistemologo Evandro Agazzi – che «c’è qualcosa che s’impone», al di là di ogni idealismo o soggettivismo (in Agazzi-Minazzi-Geymonat, Filosofia, scienza, verità, Rusconi, Milano 1989).

Fontana esprime questa prima affermazione del senso comune in negativo: «Non si troverà mai un uomo che non pensi di essere dentro un mondo di cose». Quel «mai» è usato appunto per restituire una certezza. L’asserto di Fontana è facilmente intuibile osservando la vita quotidiana. Viviamo in un mondo farisaico dove, da una parte, non si distingue più tra reale e virtuale e, dall’altra, c’è il mondo delle scienze matematiche, fisiche e naturali, che vive e fiorisce grazie ad un dogma intramontabile: le cose esistono e si danno oggettivamente; esistono il sole, la luna, la galassia, il protone, l’energia, le piante, le nebulose, i gatti, i vulcani, le cellule, i virus.

La seconda evidenza del senso comune è che c’è una distinzione tra oggetto e soggetto. Scrive Fontana che «Non si troverà mai un uomo che non distingua tra il suo io e il sasso che ha davanti». Dopo la conoscenza dell’ente, comprendo subito di appartenere anch’io al cosmo, prima in senso oggettivo, poi (in modo derivato), come soggetto, come soggettività.

Terza evidenza: se colgo immediatamente l’essere, so che esso «non può coincidere con il non essere». È il «principio di non contraddizione» aristotelico, per cui «quando andiamo verso un certo posto non andiamo anche verso il luogo opposto». Oppure, «non è possibile essere seduti e non seduti nello stesso momento».

Questo è un punto molto importante da ritenere. Da ciò che afferma Fontana c’è l’evidenza di un universo orientato. Pur non essendoci alcuna differenza tra lo spazio che ho sulla destra e quello che ho sulla sinistra (in senso simmetrico), conosco immediatamente qual è la destra e qual è la sinistra. Anche questa può essere intesa come una conoscenza del senso comune, perché innata e non mediata. L’universo non può non essere orientato, poiché Dio stesso è orientato in se stesso. La processione trinitaria, infatti, è orientata e va dal Padre allo Spirito Santo, passando per il Figlio. La filiazione non è la generazione. Il Padre è Principio. Lo Spirito Santo non è Principio. Né il Padre, né lo Spirito Santo sono il Medium, ma solo il Figlio. Pur essendo l’unico e identico Dio, diverse sono le appropriazioni personali dell’Amante (Padre), dell’Amato (Figlio) e dell’Amore (Spirito Santo) – secondo sant’Agostino e san Bonaventura.

Allo stesso modo, il cosmo – che è creatura – ha una destra e una sinistra (movimento spaziale), un sopra e un sotto (gravitazione), un avanti e un dietro (movimento spaziale e temporale). Sono le stesse leggi fondamentali della fisica – stasi e moto – che rivelano una direzione, una consecuzione, un orientamento, un verso (da cui universo). C’è una consecuzione spaziale e temporale tra causa ed effetto.

Le ultime due evidenze sono l’esistenza del piano morale o finalistico (distinto da piano fisico) e l’esistenza di Dio. Infatti – osserva Fontana – «non si troverà mai un uomo che pensi che le sue azioni sono regolate da norme simili a quelle che regolano la pioggia o i moti di rivoluzione dei pianeti» (piano morale). E nemmeno c’è alcuno che «non senta il bisogno di un Fondamento» (esistenza di Dio). In effetti, l’ultima conoscenza è importante quanto la prima, per via del fatto che «conoscendo l’essere, si conosce implicitamente anche Dio», nel senso che, se c’è qualcosa e non il nulla, questo qualcosa deve pur avere un qualche fondamento, un qualche principio causale.

Conoscenza certa di un’«infinità di cose»

Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), nella sua opera Trattato delle forze dell’intendimento umano, o sia Il Pirronismo confutato (1745), trae un ulteriore conclusione sull’«evidenza» del senso comune (che non nomina), la quale è il «criterio della Verità». Muratori, in sostanza, scrive che c’è un’«infinità di cose» (nel senso di moltissime) e di proposizioni su cui tutti concordano del tutto evidenti e, per questo, certe: il cinque è maggiore di tre, il tutto è maggiore della parte, il cavallo è diverso dalla capra, quell’uomo è giovane o vecchio, esiste il movimento, ecc… Queste conoscenze – che potrebbero anche appartenere a quelle che Fontana indica conoscibili «nel dettaglio», «mediate» per mezzo della ragione – sono comunque certe, a parere di Muratori. Al netto, dunque, del peccato d’origine, della malafede e dei limiti umani, la «Ragione per lo più non s’inganna, né inganna».

Il tutto è dimostrabile con un esempio. C’è un gruppo di atleti che corre. Improvvisamente, tutti giungono sulla riva del mare e si fermano. Perché si fermano? Perché non continuano la corsa? È semplice: perché tutti hanno alcune certezze. E sono: sul mare non si corre, sul mare si nuota, chi non nuota affonda, il mare è bagnato, la terra è diversa dal mare. Muratori fa una serie di esempi simili a questo e spiega che avere tali certezze non significa sapere tutto su una certa cosa e avere l’onniscienza.

È vero che alcuni uomini potrebbero continuare la corsa sull’acqua, ma questa situazione è patologica e da tutti indicata come pazzia.

Silvio Brachetta

Print Friendly, PDF & Email
Website | + posts

Membro del Comitato di Redazione