L’«opposizione polare», di cui ha trattato Stefano Fontana in un suo recente articolo, è di spunto per alcune parole di commento.
In filosofia, generalmente, si parla di opposti o contrari in una sola accezione: quella cosa «non è» quell’altra cosa. Considerando, però, anche la teologia – e dunque la Rivelazione – c’è una differenza sostanziale nel dire che l’essere «non è» il nulla e che il Padre «non è» il Figlio. Essere e nulla non sono, cioè, contrari o diversi come lo sono il Padre e il Figlio (e ovviamente lo Spirito Santo). Tra i due casi, non c’è nemmeno un’analogia di predicazione.
Il «non è», anche solo linguistico, tra essere e nulla esclude il nulla nell’essere, ma il «non è» tra le Persone divine è una modalità assoluta dell’essere; dopo la Rivelazione non si può eliminare o non considerare. Ovvero, all’essere non può non associarsi il «non è» intra-trinitario. È proprio da quel «non è» intra-trinitario che sorgono i contrari maggiori, che potrebbero anche corrispondere agli «opposti trascendentali» di Romano Guardini: affinità-particolarizzazione e unità-pluralità. Semplificando ulteriormente, s’intravvede un solo opposto trascendentale: l’universale e l’individuato, che sorge ab aeterno nella Trinità.
La tensione ontologica tra universale e individuale ha percorso, irrisolta, tutta la storia della filosofia e, in un certo senso, anche della teologia. Ma è una tensione ineliminabile, anche nelle creature, perché le creature sono a immagine – e, nel caso dell’uomo, anche a somiglianza – del Dio Uno e Trino. E, dunque, l’essenza non può non avere a che fare, nello stesso ente, tanto con l’universale che con l’individuato, da Aristotele in poi.
Al di là di cosa intendesse esattamente Guardini con il concetto di «opposizione», Fontana nega una separazione ontologica assoluta tra i contrari che fanno riferimento all’essere (astratto-concreto, legge-grazia, ecc…). Al tempo stesso Fontana afferma, invece, tale separazione assoluta tra l’«essere e il nulla», o tra il «vero e il falso», o tra «il bene e il male». Questo perché il nulla, il falso e il male non sono contrapposti all’essere, ma sono semplicemente estranei all’essere.
È, allora, sostanziale specificare se si parla di opposti o contrari relativamente all’essere o fuori dall’essere. Fuori dall’essere non c’è opposizione, ma negazione assoluta. C’è anche da considerare che il principio aristotelico di non contraddizione si riferisce proprio all’opposizione assoluta – che è rigetto – tra vero e falso, e che scaturisce dall’incomunicabilità metafisica e logica tra essere e nulla. Per questo motivo, non ha senso affermare “o legge o grazia”, oppure “o astratto o concreto”. Tra di essi non c’è contraddizione, pur essendo contrari, in quanto immanenti all’essere.
Dalla confusione tra questi due piani metafisici è sorto molto del caos filosofico e teologico dell’ultimo secolo. Più complicato è stabilire se tra gli opposti possa esserci sintesi e, in caso affermativo, in cosa consista la sintesi. Hegel prevede una sintesi, mentre Guardini la rifiuta. È forse più ragionevole ritenere che, all’interno dell’essere, i contrari vadano a sintesi, ma resta una domanda a cui rispondere: quando Dio ha creato dal nulla, c’è stata una sintesi tra essere e nulla? E, difatti, il quesito non è di facile soluzione, perché ripugna alla ragione. La filosofia greca negava che dal nulla potesse scaturire qualcosa («ex nihilo nihil»).
Va però considerato che è la stessa parola «creazione» a fare problema ai greci. La creazione sembra legata alla sintesi solo quando tesi e antitesi sono già nell’esistenza. Anche qua è necessario distinguere due piani della sintesi, o della creazione. C’è una sintesi soprannaturale e primaria, che è quella intra-trinitaria tra universale e individuale, tra Divinità e Persona. Di questa sintesi partecipano anche le sostanze create, le cose vive o senza vita, la cui essenza è universale e individuata. C’è poi una sintesi naturale che non è un trarre all’esistenza e di cui anche l’uomo partecipa, come quando fabbrica qualcosa o vive la storia.
C’è infine un trarre dal nulla, che solo Dio può fare e che non pare corretto chiamare sintesi, per via dell’assenza di contrari. Con tutta evidenza, Dio non può trarre il finito da se medesimo, in quanto infinito. Né può trarre il finito da cosa preesistente, perché solo Dio è preesistente. Ma può trarre dal niente perché, se dà l’esistenza e l’essere, lo può dare solo al non essere, al nulla. Il nulla, infatti, non esiste e non è. L’essere (Dio) comanda «sia» (Rivelazione) e lo può comandare solo al nulla, poiché il nulla non è. Se il nulla fosse, Dio non potrebbe creare, poiché non avrebbe senso alcuno dire «sia».
Ci sono, quindi, due modi di stare di fronte, di essere contrari, espressi anche dalla parola greca «anti». Due enti possono stare uno di fronte all’altro, pur non essendo contrari, ma solo differenti. Ad esempio due isole: Citera e Anticitera. Anticitera significa solo che sta di fronte a Citera. La sintesi tra le due si chiama arcipelago. Qua siamo dentro l’essere.
Il secondo modo è il caso dell’essere di fronte al nulla, nel senso che l’essere rigetta il nulla – o del bene di fronte al male. Non deve stupire che, nel cosmo creato, vi siano contrapposizioni che richiamano questo rigetto, ma non ne partecipano: luce-buio, caldo-freddo, positivo-negativo, solare-antisolare, sociale-antisociale, crimine-anticrimine. Non vi è un rigetto autentico tra gli opposti, perché esiste una sintesi. Luce e buio convivono nella giornata, caldo e freddo nelle stagioni, crimine-anticrimine nella forza pubblica. Si tratta, in ogni caso, di sintesi. Luce e buio condividono l’essere, in quanto la luce «è» nell’essere delle cose diurne, ma anche il buio «è» nell’essere delle cose notturne.
Ma la Provvidenza ha disposto il dì e la notte per l’analogia evidente e onnipresente tra luce e bene, così come tra buio e male. Oppure come il positivo e il negativo, che rammentano di continuo all’uomo il vero e il falso. Nella natura c’è un continuo richiamo alla perfezione, al bene e alla vita. C’è pure il richiamo della morte naturale alla possibilità della morte eterna (perdizione). Quanto al soprannaturale abbiamo, al contrario, un rigetto totale tra Cristo e Anticristo: in questo caso «anti» significa rigetto e non vi può essere alcuna contiguità, né sintesi.
Quanto alla morale e in riferimento all’enciclica Veritatis splendor di Giovanni Paolo II, Fontana afferma che non ha senso considerare la coscienza come il polo opposto alla legge, così come non c’è opposizione tra dottrina e vissuto esistenziale.
Il motivo sta proprio nel fatto che siamo all’interno dell’essere, dove i contrari non si rigettano: tra loro – scrive Fontana – «non c’è come un tiro alla fune tra due poli opposti nella ricerca di un compromesso mediano». Tra coscienza e legge c’è, anzi, «connaturalità». Il principio generale non è di ostacolo, ma illumina e dirige il caso concreto e individuato.
Non è opportuno porre un aut-aut dove non esiste, poiché si potrebbe scadere in una deriva di tipo protestante o sposare suggestioni manichee, inopportune specialmente in ambito morale.
Silvio Brachetta

Membro del Comitato di Redazione