
«Sembra, signora? No, è. Io non conosco “sembra”» – dice l’Amleto di Shakespeare alla madre, che voleva trascinare il figlio nella gabbia senza fondamenta in cui si era rinchiusa. Anche Luciano Moia di Avvenire e il teologo Luca Castiglioni si sono ingabbiati nel linguaggio allusivo contemporaneo per paura di dire le cose come stanno.
Vediamo cosa «sembra» al lettore. Stavolta Moia intervista Castiglioni sulla solita questione gender e sembrano entrambi convinti si tratti di un’ideologia (Noi in famiglia del 30/04/2023, p. III). Sembrano anche d’accordo con Papa Francesco che, di recente [qui], è sembrato contrario alla «cultura gender», perché essa è parte delle «colonizzazioni ideologiche, che eliminano le differenze».
Sembra poi che Moia si contraddica subito nell’occhiello dove – sempre d’accordo col Papa e con Castiglioni – sembra dire no all’ideologia gender ma sembra dire sì al dialogo sugli studi di genere, in modo da «costruire nuovi modelli paritari». Costruire modelli paritari? Ma non sembravano, Moia e Castiglioni, contrari a ciò che «elimina le differenze»? Non sembravano cioè contrari al modello paritario del gender?
E dove cercare il «modello paritario», scartato e assunto nella stessa intervista, visto che il gender è un’ideologia e la differenza tra uomo e donna sembra rimanere? Ma ovviamente nel Battesimo, su cui Castiglioni ci ha pure scritto un libro: Figlie e figli di Dio. Uguaglianza battesimale e differenza sessuale, Queriniana, 2023.
Ecco, finalmente, si comincia a intravvedere il trucco: l’Uguaglianza tra i sessi, cacciata dalla porta del gender, deve in qualche modo rientrare necessariamente dalla finestra del Battesimo. Il linguaggio allusivo e astratto di Moia e Castiglioni serve appunto all’eliminazione della differenza sessuale, così come impone l’ideologia lgbt, facendo finta di essere contrari.
Le cose, però, non sembrano, ma sono, come dice Amleto. E quali sono dunque le parole di Moia e Castiglioni, oltre la confusione che vorrebbero creare? Con il pretesto del Battesimo, dove di teologico non si dice quasi nulla, si vuol dimostrare che nella Chiesa «agli uomini» viene dato «tutto il potere, alle donne solo posizioni subordinate». Insomma, la differenza sessuale persiste. Ecco, questo è il centro dell’intervista, dove al Battesimo è dato solo il ruolo di sfondo.
Si scopre, anzi, che la cultura gender è utile eccome, poiché – spiega Castiglioni – «il gender assume opportuno valore critico, stigmatizzando le configurazioni insostenibili nel rapporto tra i generi, nella Chiesa e nella società, entrambe impegnate nella costruzione di rapporti paritari». È lo stesso Castiglioni che parla, quello contrario a ciò che «elimina le differenze», cioè al gender, che ora invece gli casca a fagiolo.
Da questo punto in poi il teologo scopre i suoi veri obiettivi. La «modernità ha radicalmente contestato gli stereotipi di ruolo» e questo, secondo Castiglioni, è un bene: «si tratta di un cammino di verità esigente, che mette a nudo e impone cambiamenti maggiori». Traduzione: vestirsi da maschio o giocare con le bambole tra bambine (stereotipi di ruolo) sono comportamenti giustamente contestati dalla modernità; ma ciò non basta perché bisogna raggiungere la parità completa tra femmine e maschi.
Questa rivoluzione equivale a «sfide» e «provocazioni che attivano potenzialità ancora non pienamente espresse, ma presenti da sempre nel tesoro della sua [della Chiesa] Tradizione, specialmente nel Nuovo Testamento». Fanno dunque male i chierici a non esprimere pienamente il contenuto nascosto del Nuovo testamento, che sarebbe quello che la cultura gender chiama gli «stereotipi di ruolo».
Ma non c’è il pericolo di sovvertire l’ordine di Dio? – si chiede Moia in modo allusivo e felpato. Sì gli risponde Castiglioni, c’è il pericolo del fanatismo gender, che blocca il dialogo («sono quello che mi sento di essere, a prescindere dal corpo»), ma in gioco c’è proprio il dialogo e la ricerca comune di un «di più» sul genere e sul sesso, che finora era sfuggito a tutti, tranne che a Moia e a Castiglioni.
Il pericolo maggiore per i due è di dire le cose come stanno, cioè «brandire la libertà personale» e creare «posti di dogana» dottrinali. Bisogna invece essere vaghi e dialogici, misurando le parole una ad una e usando i termini corretti dall’agenda lgbt.
Il resto dell’intervista è l’accettazione dei capisaldi della cultura gender, all’inizio contestata in quanto livellatrice. I capisaldi sono i seguenti: «L’Occidente (il pianeta) sta attraversando un’epoca rivoluzionaria»; «chi rifiuta le categorie del gender teme di perdere il proprio potere nei rapporti codificati secondo il modello patriarcale»; «concezione di maschilità in quanto dominio»; «nella Chiesa gli uomini sono i primi interpellati dall’ingiunzione (evangelica) di “perdere”, cioè di scendere dal piedistallo del patriarcato»; «le esperienze di relazioni paritarie comprovano che tale scelta è un “guadagno”».
Ma lo zenit del presunto ragionare si raggiunge in coda. Il «dimorfismo sessuale» – dice Castiglioni – «è un fatto antropologico e un dato di fede inequivocabile: Dio ha creato l’umanità maschio e femmina». Ma attenzione: «la Bibbia, però, non definisce in maniera rigida e inappellabile “la donna”, “l’uomo”, “la differenza sessuale”». E dunque? E dunque non c’è alcuna verità assoluta da comunicare, nessun dogma da esprimere: «la parola cristiana non pretende di esprimere l’unica risposta possibile alla questione del senso dell’esistenza (sessuata), del valore del maschile e del femminile».
Per Castiglioni e Moia «solo la fede» (Lutero diceva «sola fide») può dare una risposta adeguata. E questo miscuglio di relativismo e d’indifferentismo religioso, secondo Avvenire, sarebbe la Chiesa: «sola fide».
In chiusura Castiglioni svela finalmente il «di più» sul genere e sul sesso, di cui parlava: speriamo di arrivare al «pieno riconoscimento ecclesiale delle donne» (diaconato e sacerdozio femminile?) e alla «riconfigurazione della maschilità» (secondo quale parametro, se la Bibbia non definisce accuratamente maschio e femmina?). La questione del Battesimo era solo un paravento. Amleto direbbe che in tutto questo «c’è qualcosa di marcio».
Silvio Brachetta

Silvio Brachetta
Membro del Comitato di Redazione