Francisco de Tejada non fa coincidere l’epoca della Cristianità con il Medioevo, ma con la vicenda storica del Sacro Romano Impero, fondato da Carlo Magno (800) e sciolto con il Trattato di Presburgo (1805). De Tejada, cioè, include nella Cristianità quasi tutto il Medioevo, ma anche i successivi cinque secoli della modernità, a partire dal XIV. Non è un caso questo slittamento temporale, poiché l’autore pensa che la Civiltà cristiana sia essenzialmente due cose: fede cattolica e città di Dio. Se per la fede sono sufficienti i singoli credenti, è invece necessaria, perché la città di Dio abbia un senso anche secolare, una sua forma storica analoga alla Gerusalemme celeste.

Il Sacro Romano Impero ha posseduto, secondo de Tejada, un’analogia marcata con la città di Dio agostiniana e apocalittica. Quanto alla fede, si è trattato di qualcosa di più esteso della semplice fede teologale. La fede cattolica pre e post-luterana è sempre stata una fede militante, combattiva in senso sociale, di cui il fenomeno forse più vistoso sono state le crociate. La guerra santa non fu un’iniziativa limitata al Medioevo, ma si estese pure oltre, fino alle guerre turco-veneziane del 1718. La «fede fatta milizia» è un po’ una costante che resiste in Europa alle lotte interne tra le nazioni cattoliche o alle guerre tra cattolici e protestanti.

Soprattutto, però, la Cristianità fu il tentativo di realizzare la città di Dio. Da sant’Agostino in poi, la città di Dio è, da una parte, un concetto «mistico» e, dall’altra, una «realtà tra gli uomini», nonostante il riferimento sovrumano. De Tejada è impreciso quando scrive che la Chiesa e l’Impero corrispondono alla «città di Dio» e alla «città degli uomini». In realtà sant’Agostino non ha mai parlato di «città degli uomini», ma di «città terrena», contrapposta alla «città di Dio». È vero, comunque, che le due città si fondano su mentalità contrapposte: la mentalità mondana e la divina. Da qui l’atteggiamento del miles christianus, chiamato ad una sorta di «santa intransigenza» fino al martirio, ovvero fino alla testimonianza cruenta o non cruenta.

Tutto questo oggi è tramontato e de Tejada descrive, con una certa delusione, l’«Europa moderna, liberale, marxista, capitalista e borghese», che è l’«antitesi della Cristianità», avendo «deliberatamente eliminato Cristo dalla vita sociale». Il Sacro Romano Impero, al netto di tutte le contraddizioni interne e delle spinte disgregatrici, aveva pur sempre un riferimento fisso alla religione. Sebbene divisa tra una moltitudine di stati e nazioni, sebbene infiacchita dagli scismi religiosi, l’Europa cristiana si è presentata al mondo come un tutt’uno e con una forza spirituale sovrabbondante, traboccata poi nella discipline profane della scienza e della tecnica. Di questa forza fa parte la mente dell’uomo medievale aperta a una visione universale, ovvero cattolica, dell’esistenza.

La vicenda storica che portò, nel corso del primo millennio, la trasformazione dell’Europa da coacervo di popoli tribali a impero omogeneo, fu lenta e difficile. Il genio di Carlo Magno innescò il processo, pur viziato dal tentativo imperiale di fondare una teocrazia. Carlo Magno non si sentiva per nulla soggetto al pontefice romano: cominciò, da subito, l’intromissione del potere secolare nell’ambito spirituale, con la promulgazione, ad esempio, di leggi in materia religiosa. Né la Chiesa subì il fenomeno senza reagire: la lotta per le investiture fu la fase emergente dello scontro tra pontefice e imperatore.

Non si raggiunse mai una soluzione: «se la Cristianità è unità – scrive de Tejada –, ciò significa che quell’unità non è stata mai raggiunta». La soluzione sta in un concetto semplice, ma non realizzabile, a causa della natura corrotta dell’uomo, reso spesso cieco dalla brama di potere e lento nell’apprendere lo spirito evangelico del servizio. La soluzione è l’equilibrio dei poteri, nelle proprie competenze, ferma restando la soggezione del potere secolare al potere sacro, secondo la volontà di Dio. Ma la storia dell’Europa è stata ed è la storia dell’edificazione della civitas Dei, ostacolata perennemente dallo scontro (anche armato) per l’ottenimento del potere mondano – e dunque anticristiano – che ne corrompe le fragili fondamenta.

Ostacolo antico e virulento. Sacro Romano Impero o soltanto Impero Tedesco? Con lo scivolamento di reggenza – da francofona a germanica – prima dell’anno Mille, la supremazia degli Ottoni rese la nuova teocrazia imperiale fortemente secolarizzata. Con la stessa mentalità, il papato di Roma si mondanizzò sempre più e i pontefici diventarono qualcosa di simile a una signoria locale. Se non vi fosse stata la successiva Riforma gregoriana e il movimento spirituale di Cluny, il progetto di una Cristianità universale sarebbe stato abbandonato nel giro di un secolo.

Non fu sufficiente nemmeno la gloria della Scolastica – cioè la gloria di un sapere teologico e filosofico giunto alla dignità della sapienza – a bloccare la frammentazione. L’Impero, dopo Carlo Magno, fu sempre e solo «un insieme di Stati, non uno Stato». In altre parole, vi fu l’«impossibilità dell’Impero di trasformarsi in uno Stato», ovvero in un’istituzione organica, che preservasse universalità e particolarità. E, tuttavia, si parla pur sempre di Cristianità perché, dietro al fallimento politico (anche dei papi), è rimasta l’energia nascosta, ben più decisiva, dell’unico riferimento a Gesù Cristo, alla Rivelazione, alla Sacra Scrittura. La politica, pur importante, non è l’ultima parola della realtà e nemmeno della Dottrina sociale della Chiesa; la società non è riducibile alla politica.

De Tejada non poteva, poi, tacere sui danni delle tre maggiori rivoluzioni della modernità: protestantesimo, giacobinismo (rivoluzione francese) e marxismo, su cui l’autore si sofferma in altrettante conferenze. Ulteriori fonti, queste, di divisione: culturale, sociale, politica e religiosa. Lutero, in particolare, ha realizzato un rovesciamento di prospettiva, che ha messo al centro l’uomo e ha spostato Dio ai margini dell’esistenza.

La radice primaria della modernità, di cui tratta de Tejada, è proprio questo antropocentrismo, sorgente di ogni ribellione all’ordine della Provvidenza. E non bisogna ricordare sempre Marx o Robespierre. Lo stesso Carlo Magno – lo stesso fondatore della Cristianità – è anche colui che ne ha compromessa la realizzazione completa, attraverso la teocrazia totalitaria e per via del germe dell’autocompiacimento e della superbia, comune a tutto il genere umano.

Silvio Brachetta

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