Ci siamo già occupati dei libri di Byung-Chul Han a proposito delle sue osservazioni sulla società palliativa (QUI). Interessante è anche quello sulla Psicopolitica (Nottetempo edizioni). L’Autore è tedesco-coreano e marxista-buddhista. Non rientra molto, quindi, nelle categorie culturali di riferimento per noi. Tuttavia, conduce delle osservazioni che, decontestualizzate e ricontestualizzate, possono dare una mano a capire vari fenomeni della nostra società. La sua è una critica al neocapitalismo, alla nuova società liberale che pratica una forma inedita di totalitarismo. Il controllo della popolazione non avviene più per via diretta ma indiretta, non più dall’esterno ma dall’interno, non più in modo violento ma condiviso. Si spiega così la società palliativa che controlla tramite l’eliminazione preventiva del dolore, e la psicopolitica, che vuole produrre il consenso al sistema.

Esce ora in Italia il suo libro dal titolo “Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale” (Einaudi). L’Autore intende le parole “cosa” e “cose” non nel senso del realismo metafisico, ma in quello heideggeriano della modernità. Le “cose” per lui hanno significato esistenziale e fenomenico. Anche il “reale”, parola presente nel titolo, è intesa in questo modo insufficiente. Ciononostante, le sue osservazioni, espresse per brevi frasi che fotografano delle esperienze più che con argomentazioni, suscitano interessanti riflessioni.

Gran parte del testo è dedicato alle informazioni, al mondo digitale, allo smartphone, che per l’autore sono strumenti del nuovo ingannevole totalitarismo liberale. Mente le cose sono “i punti fermi dell’esistenza” (p. 7) e denotano la “saldezza dell’essere”, le informazioni “si fondano sul brivido della sorpresa”. Se l’essere viene ridotto a informazione, allora esso è del tutto disponibile e influenzabile. Le informazioni non illuminano il mondo ma lo oscurano: “le informazioni circolano senza alcun appiglio con la realtà” (11). Mentre la verità è impegnativa, le informazioni intendono per verità quello che possiamo cambiare. Davanti alla verità si indugia, le informazioni invece mancano di respiro, accorciano la vista e infondono un modo di vivere privo di durata.

Il nostro Osservatorio ha dedicato molta attenzione in questo ultimo periodo alle minacce alla proprietà privata da parte della sharing economy , a cui ha anche dedicato il suo 14mo Rapporto annuale (QUI). Byung-Chul Han, in questo libro scrive che la relazione con le non-cose  comporta che “non si voglia più nemmeno possedere nulla, solo esperire e divertirsi (16) premendo un tasto. Così “il reddito minimo universale e i videogiochi sarebbero la versione moderna del panem et circenses” (17).

La prossima eliminazione della proprietà privata non da parte del comunismo ma della società liberale è vista dall’autore come il passaggio “dal possesso all’esperienza” (Rifkin aveva detto “dal possesso all’accesso”. Il possesso “è caratterizzato da una certa interiorità. Solo una relazione intensa con le cose le rende proprietà di ciascuno” (23). Emblematico di un sano rapporto con le cose è il collezionista, mentre di un vuoto rapporto con le non-cose è il consumista. Il principale strumento di questo distacco dalle cose è lo smartphone: “Il potere smart non opera mediante ordini e divieti; non ci rende remissivi, bensì dipendenti e drogati. Invece di spezzare la nostra volontà, appaga i bisogni. Vuole piacerci. È permissivo, non remissivo. Non ci impone il silenzio. Anzi, ci viene costantemente, insistentemente richiesto di esternare opinioni, preferenze, desideri, di comunicarli, insomma di raccontare la nostra vita. Esso rende invisibile il proprio intento di dominio proponendosi in maniera amichevole, smart. Il soggetto sottomesso non è neppure al corrente della propria sottomissione. Si crede libero. Il capitalismo si compie appieno nel capitalismo del mi piace, che per via della propria permissività non Ha bisogno di temere alcuna resistenza, alcuna rivoluzione” (35).

Byung-Chul Han è un comunista che difende la proprietà privata in un sistema capitalista che la vuole eliminare. La sua critica si pone quindi sulla scia della Scuola di Francoforte e intende essere una nuova critica alla “ragione strumentale”. Le sue osservazioni sono stimolanti, peccato che egli non si renda molto conto di quanto il comunismo abbia collaborato con la società liberale per arrivare a questo punto.

Stefano Fontana

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La Redazione dell'Osservatorio