Scrivo qui il testo-base di una mia recente video-conferenza che si può vedere sul Canale Youtube dell’Osservatorio. Questo breve scritto non è uno studio su Chesterton, ma un invito alla Scuola di Filosofia Cristiana della primavera 2022 dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân [vedi qui il programma del modulo di Ontologia iniziato il 16 febbraio e qui quello del modulo di Teologia programmato per aprile]. L’argomento, quindi, è quello della Filosofia Cristiana che però ho ritenuto di grande interesse presentare utilizzando alcuni passaggi di Chesterton, soprattutto nel suo capolavoro “Ortodossia”. Eviterò quindi di presentare inizialmente la nozione di Filosofia Cristiana – che del resto ho già fatto in prevedenti video-conversazioni, ma partirò da alcuni passi delle opere di Chesterton per farla emergere da essi, piuttosto che precederli. Data la grande efficacia delle espressioni chestertoniane, basate spesso su paradossi che illuminano, penso che la strada scelta sia una buona strada.
Possiamo partire da un passaggio di Ortodossia chiaro, lapidario, provocatorio proprio per la sua ovvia semplicità: “Non si può pensare se non ci sono cose da pensare” [le citazioni da Ortodossia sono prese dall’edizione Lindau, Torino 2010, la prima edizione è del 1908]. Come è impossibile vedere il buio e udire la mancanza di suoni, così è impossibile conoscere il nulla e pensare senza qualcosa da pensare. L’attività del soggetto ha bisogno della presenza dell’oggetto. Emerge qui una caratteristica fondamentale della Filosofia Cristiana, ossia il realismo metafisico. Essa esige che l’intelletto conosca immediatamente e certissimamente l’essere mediante una “apprensione sintetica originaria” (Fabro). Come si sa, invece, il pensiero moderno, a cominciare soprattutto da Cartesio, sconvolge questo “cominciamento” naturale della conoscenza in un cominciamento innaturale che parte del porre la propria coscienza, sicché, per dirla con Lévinas, “Alla coscienza nulla è esterno”. Inizia così il moderno “principio di immanenza” che si può condensare in questa frase “Nulla è pensabile al di fuori del pensiero”. La Filosofia Cristiana ha bisogno del realismo metafisico e contraddice l’idealismo moderno perché altrimenti anche Dio sarebbe solo un nostro pensiero e non una realtà. Chesterton in questa frase così semplice e ovvia, confuta in poche parole tutta la principale filosofia moderna, sostenendo che una coscienza che non conosce l’essere è una coscienza vuota, una coscienza di nulla, un assunto immotivato e contraddittorio.
La frase di Chesterton che ho citato esprime quindi il realismo metafisico. In altri luoghi di Ortodossia, il grande inglese esprime con altre parole il medesimo concetto. A proposito della “sua” filosofia egli dice: “Non la chiamerò la mia filosofia, perché non l’ho concepita io. L’hanno creata Dio e l’umanità; ed essa ha creato me” (Ortodossia, p. 10). La filosofia moderna è il tentativo soggettivo di creare una propria filosofia indipendente dalla realtà, la Filosofia Cristiana è la rinuncia a crearsi una propria filosofia e l’impegno motivato di aderire alla realtà delle cose (veritas est adaequatio intellectus et rei, come dice San Tommaso nel de Veritate). A Chesterton non interessa nulla della “propria“ filosofia che sarebbe solo opinione, a lui interessa la verità che non può essere solo “sua” ma di tutti (universale). Tale verità deve precederci e costituirci, piuttosto che essere noi a precederla e a costituirla, quindi “l’hanno creata Dio e l’umanità; ed essa ha creato me”.
Un aspetto molto interessante è che Chesterton dice di correre un’avventura “all’inseguimento dell’ovvio” (Ortodossia, p. 13). Di per sé l’ovvio non si deve rincorrere, cercare o dimostrare, esso è già presente nella sua immediata ovvietà. Il realismo metafisico dice che l’essere è ovvio, nel senso di già immediatamente presente all’intelletto fin dall’inizio. Ogni ulteriore conoscenza parte dall’ovvietà dell’essere e torna all’ovvietà dell’essere. San Tommaso dice che la ragione conosce discorrendo, passando da una verità ad un’altra, l’intelletto invece sta fermo perché intuisce immediatamente. Possiamo dire che la conoscenza intellettiva sia propria dell’ovvio, mentre quella della ragione di quanto non è ovvio ma deve essere dimostrato. questa attività della ragione, però, dipende dalla “staticità” dell’intelletto: parte dalla evidenza originaria dell’essere e sempre vi ritorna nel suo discorrere. La Filosofia Cristiana non si vergogna di dire delle “ovvietà”, ossia di dire le semplici verità che anche un bambino conosce. E non ha vergogna, nei suoi approfondimenti di tornare sempre a queste semplici “ovvietà”. Molto intelligente il prosieguo di Chesterton: “Ho conservato le mie verità ma ho scoperto non che non fossero verità, ma semplicemente che non erano le mie” (Ortodossia, p. 13). La gioia intellettuale deriva dal capire che le mie verità non sono mie, e solo a questo punto possono essere verità. E continua: “Ho fondato un’eresia tutta mia, e quando vi ho dato gli ultimi ritocchi, mi sono reso conto che era ortodossia” (Ortodossia, p. 14). Il filosofo cristiano cerca l’ovvio, riferendosi a San Tommaso, Chesterton dice che “l’Aquinate è quasi sempre dalla parte della semplicità e sostiene l’accettazione di comuni evidenze da parte del senso comune” (Tommaso d’Aquino, Guida, Napoli 1992, p. 125). La Filosofia Cristiana è naturale, semplice e comune; la filosofia moderna è innaturale, artificiosa ed eccentrica.
Si capisce allora il paradosso con cui si apre il libro Ortodossia. Vi si parla di un viaggiatore che voleva girare il mondo, finché è approdato ad un porto e si è reso conto che era nell’Inghilterra da cui era partito: “Ho sognato spesso di scrivere un romanzo su un navigatore che sbaglia leggermente il calcolo della rotta e scopre l’Inghilterra, convinto che si tratti di una nuova isola dei mari del Sud” (Ortodossia, p. 10); “sono io l’uomo che con estrema audacia ha scoperto ciò che era già stato scoperto” (Ortodossia, p. 13). L’audacia non sta nell’inventarsi mondi che non esistono, ma nell’aderire alla realtà delle cose, la verità abita in natura rerum.
Da questo realismo metafisico pienamente espressivo della Filosofia Cristiana, Chesterton parte per considerare il pensiero moderno e la modernità come pensiero. “Tutte le teorie moderne – scrive – possono venir giudicate in base alla loro tendenza o meno a indurre un uomo a perdere il senno” (Ortodossia, p. 19). Qui la provocazione è forte. Ma come! Il pensiero moderno vuole essere “razionalista” e Chesterton invece lo accusa di far perdere il senno? E invece proprio qui sta il punto: il pensiero moderno, partendo da se stesso invece che dall’essere, crea una ragione vuota e convenzionale che non aderisce più alla realtà ma si perde in se stessa. Questa è, in sintesi, la pazzia. “Il pazzo – spiega acutamente Chesterton in uno dei suoi più famosi paradossi – non è l’uomo che ha perso la ragione. Il pazzo è l’uomo che ha perso tutto tranne la ragione” (Ortodossia, p. 25), “la sua mente si trova in un cerchio perfetto ma ristretto” (Ibidem), “la pazzia può essere definita come l’esercizio dell’attività mentale fino ad arrivare alla incapacità mentale” (Ortodossia, p. 59). Il pazzo perde il principio di realtà e si inabissa nelle proprie allucinazioni. Nel pensiero moderno da Cartesio in poi la filosofia è impazzita. Un giudizio drastico, questo di Chesterton, ma assolutamente vero.
Secondo Benedetto XVI nella modernità c’è stata una “autolimitazione” della ragione, la stessa autolimitazione che Chesterton qui denunciava molto tempo prima e che Cornelio Fabro chiamava “principio di immanenza”. Chesterton lo dice anche così “La ragione usata senza radici è un ragionare a vuoto. L’uomo che inizia a pensare senza i giusti presupposti fondamentali diventa pazzo” (Ortodossia, p. 36). Il razionalismo moderno è una forma di pazzia proprio nella sua esaltazione della ragione, della coscienza che, nella sua pretesa di precedere la realtà, si consegna a vuoto del nulla e diventa coscienza di nulla. Ritiene che essere coscienza-di-essere voglia dire la sua dipendenza da altro, la sua prigione e la rinuncia alla sua autonomia (Kant) e alla libertà. Invece accade il contrario, dato che essa risulta schiava di se stessa, impossibilitata di uscire da sé. Il soggettivismo è una prigione. La verità libera.
La Filosofia Cristiana non è soggettivista, perché concepisce il soggetto prima di tutto come oggetto tra le altre cose. Noi prima ci riconosciamo come esistenti tra le cose che esistono e poi ci riconosciamo come soggetti che si differenziano dagli oggetti per l’intelligenza e per la libertà. Chesterton coglie questo errore della filosofia moderna e ne mostra gli esiti negativi quando per esempio dice: “Gli uomini che credono davvero in se stessi stanno nei manicomi” (Ortodossia, p. 17); e aggiunge: “Tra tutte le orribili religioni, la più brutta è l’adorazione del dio interiore … che Jones adori il dio dentro di sé, alla fine significa che Jones adorerà Jones” (Ortodossia, p. 107). Detta con altre parole: “Insistendo che Dio è dentro l’uomo, l’uomo rimane sempre dentro se stesso. Insistendo nell’affermare che Dio trascende l’uomo, l’uomo trascende se stesso” (Ortodossia, p. 193).
La Filosofia Cristiana inizia con l’essere e la conoscenza e questo inizio poi si ripercuote sulla visione del soggetto e della libertà. Se la ragione impazzisce nel campo della conoscenza dell’essere, poi impazzirà anche nel campo della visione dell’uomo e della libertà. È Chesterton stesso che pone con la consueta arguzia il nesso tra la pazzia del razionalismo e la pazzia dell’uso della libertà assoluta: “Il libero arbitrio è follia, perché vuol dire intraprendere azioni senza motivo” (Ortodossia, p. 23). Per libero arbitrio si intende qui la libertà assoluta della coscienza morale che, anziché iniziare dalle finalità dell’essere inizia dal proprio io. Come, sul piano della conoscenza, è essa che pone i contenuti senza una ragione perché altrimenti quei motivi di ragione verrebbero prima ed essa non sarebbe più originaria e assoluta, così quando quella sua autonomia muove la libertà deve muoverla senza ragioni. La concezione moderna della libertà è di una libertà folle, priva di motivi fondanti. È follia la coscienza che non muove dalla verità dell’essere ma dalla presunta verità delle proprie rappresentazioni, è follia la libertà che non vuole ragioni perché la limiterebbero. Tutta la filosofia moderna, quindi, è un percorso di follia che rende impossibile il fondamento della morale. Chesterton dice che “Il mondo moderno ha subito un tracollo mentale molto più consistente del tracollo morale. Le cose vengono decise tramite le associazioni di idee invece di ricorrere ad argomentazioni basate sulla realtà” [“Ostinatamente ortodosso”, in Perché sono cattolico e altri saggi, Gribaudi, Milano 1994, p. 47]. Il tracollo morale dipende dal tracollo mentale, ossia relativo alla conoscenza o meno dell’essere. Con il che siamo ricondotti al punto di inizio: o si conosce immediatamente l’essere o si rimane rinchiusi nel principio di immanenza che illude l’uomo di essere libero. Quel punto di inizio viene presentato così da Chesterton nel suo libro Tommaso d’Aquino: “Alla domande esiste qualcosa? San Tommaso inizia col rispondere sì; se iniziasse col rispondere no, non sarebbe l’inizio ma la fine” (Tommaso d’Aquino, p. 125); “l’uomo deve o rispondere a quella domanda in modo affermativo, oppure non rispondere mai a nessuna domanda” (Tommaso d’Aquino, p. 124) perché verrebbe meno il fondamento del sapere e ognuno rimarrebbe chiuso nel solipsismo delle sue rappresentazioni delle cose e quindi nello scetticismo. La filosofia moderna, che ha risposto no, nasce quindi già morta. La Filosofia Cristiana che, con san Tommaso, risponde sì, nasce viva e destinata a vivere.
Concludo con un singolare e illuminante passaggio di Chesterton, frutto di sapienza cristiana. Eccolo: “La direzione che il mondo dovrebbe prendere non esiste, non è mai esistita. Il mondo non sta andando da nessuna parte… Il mondo è come lo descrissero i santi e i profeti: non migliora né peggiora. Ma c’è una cosa che il mondo fa: barcolla. Lasciato a se stesso non va da nessuna parte, ma se viene guidato dai giusti riformatori della vera religione e filosofia, può migliorare sotto molti aspetti, e a volte per dei periodi abbastanza lunghi. Tuttavia preso in sé non è sinonimo di progresso, non è neanche in movimento: è solo la moda del momento destinata a durare poco. La vita in sé non è una scala ma un’altalena” (“Le mie sei conversioni”, in Perché sono cattolico e altri scritti cit, pp. 78-79). La Filosofia Cristiana serve a questo, dato che essa si fonda sul principio che “solo il soprannaturale ha una visione assennata della natura” (Ortodossia, p. 16).
Stefano Fontana