Si è svolto a Trieste il 29 maggio 2023 un incontro-conferenza promosso dall’Associazione di Promozione Sociale «Marco Martinolli – Un cavaliere antico» in collaborazione con l’Osservatorio cardinale Van Thuân, intitolato «Sanare la Sanità. Uscire dalla società dei pazienti permanenti». Il titolo dell’incontro riprende i contenuti del numero del “Bollettino di Dottrina Sociale della Chiesa” pubblicato a dicembre 2022. Sono intervenuti il dott. Stefano Martinolli, medico, bioeticista e membro del Collegio degli Autori dell’Osservatorio, don Samuele Cecotti, vice-presidente dell’Osservatorio e la dott.ssa Martina Pastorelli, nota giornalista italiana, collaboratrice del quotidiano “La Verità”, autrice del docu-film «Covid19: 12 mesi di pensiero critico. La ragione alla prova della Pandemia».

[Terza e ultima puntata]

La dott.ssa Martina Pastorelli ha iniziato il suo intervento con una osservazione: da cittadini a pazienti permanenti, presunti malati a prescindere su cui pesa continuamente l’onere di dimostrare di essere sani o guariti. È con questo nuovo status antropologico che noi usciamo dalla Pandemia COVID, che l’OMS ha recentemente dichiarato finita, parrebbe proprio di sì, a giudicare dalla resistenza con cui le autorità politico-sanitarie continuano ad ostacolare il ritorno alla normalità. Dal mantenimento di tamponi e mascherine, affidato dal ministro Schillaci alla discrezione di Direttori sanitari ospedalieri e medici di base, all’isolamento tuttora paternalisticamente imposto ai positivi, ai “memento” dell’OMS e del suo direttore generale Tedros Ghebreyesus, che pesano sulle teste di tutti noi, come una spada di Damocle. «Deve restare l’idea della potenziale minaccia di altre pandemie» e più recentemente «Arriverà una nuova pandemia e sarà più mortale». D’altronde, con la SARS-COV2 il sistema medico sanitario è apparso come centro di potere, capace di influire sulla stessa politica, e anello di congiunzione strategico verso la trasformazione di quest’ultima in biopolitica, cioè il controllo capillare dei corpi individuali dentro un corpo sociale, come scrive don Meiattini nel fascicolo del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” dedicato al tema. La vaccinazione universale, financo ai guariti, completa il quadro: tutti i cittadini indistintamente vengono sottoposti a trattamento medico che da curativo diviene preventivo. Ma una società, dove la profilassi diventa un sistema onnicomprensivo, può finire per coincidere con l’ospedale. Se a questo contingente, che abbiamo appena vissuto, noi aggiungiamo un fenomeno, in atto da tempo, cioè la continua estensione del ruolo della medicina che si è allargata dalla cura della malattie alla loro prevenzione, all’educazione degli stili di vita, ecco che si delinea l’inquietante scenario della nemesi medica descritto da Ivan Illich: la progressiva medicalizzazione della società e l’assolutizzazione della sanità, il cui paradossale esito è l’espropriazione della salute dei cittadini.

Se già negli anni ’70 Illich avvertiva che la corporazione medica «è diventata una minaccia per la salute», figuriamoci cosa direbbe oggi davanti alla sua progressiva disumanizzazione (abbiamo assistito durante la Pandemia all’abbandono dei pazienti da una parte della classe medica, più preoccupata dell’osservanza di protocolli che dei reali bisogni del malato, «ridotto ad un codice a barre» come dice il cardiologo Giuseppe Barbaro nel docu-film «COVID 19, 12 mesi di pensiero critico»). Figuratevi cosa direbbe Illich oggi quando la medicina si è integrata in un sistema economico e politico globale, dando vita, come scrive nel Rapporto Mons. Crepaldi, ad «un vero e proprio potere terapeutico» che le fa intraprendere strade non per motivi strettamente sanitari ma economici e politici. Questa affermazione viene confermata dalle recenti rivelazioni giornalistiche. Nel Regno Unito, per giustificare il lock down, il Segretario alla Salute (l’equivalente del nostro Ministro della Salute) nelle chat con i suoi assistenti scriveva: «Bisogna spaventarli tutti a morte; faremo tremare le gambe a tutti con il nuovo ceppo» o anche chiedeva: «Quando schieriamo la nuova variante?». In Italia, dai documenti dell’inchiesta di Bergamo emerge che l’allora Ministro della Salute istruiva: «Dobbiamo mettere paura per imporre le restrizioni» e chiedeva ai tecnici dell’Istituto Superiore di Sanità di non dare aspettative positive. Così non venivano mostrati i dati inviati. Non si può che dare ragione a Mons. Crepaldi quando sostiene che quella sanitaria corre il rischio di diventare un’ideologia potenzialmente totalitaria. Lo Stato può così diventare il Leviatano che può usare qualsiasi strumento ritenga utile per il conseguimento del fine. L’asserita protezione, costi quel che costi, diventa la parola d’ordine e il prezzo da pagare è la salute stessa. In questo contesto, un cittadino che pretende di essersi moralmente emancipato da Colui che gli ha dato la vita è sempre più prono a sottoporsi al Potere che sostiene di poter proteggere la sua vita. In questo senso, il modo con cui una Pandemia, dal tasso di mortalità limitato, ha saturato ogni ambito pubblico e la facilità con cui i cittadini hanno abdicato alle proprie libertà sono eloquenti. La lotta alla morte fonda ormai la legittimità del governante. Il loro Jolly è «la nostra salute». Lo psicologo clinico belga Mattias Desmet, nel docu-film, spiega che è sempre più facile oggi far leva sulla salute per chi detiene il potere, per la paura dell’uomo post-moderno. L’uomo post-moderno, tolto di mezzo il sacro, si affida ad una sterile razionalità incapace di cogliere il mistero che lo circonda. Così si diventa sempre più dipendenti dal sistema salute, come un tossicodipendente. Una dipendenza tale che, davanti al dolore e alla sofferenza, porta persino a reclamare al sistema stesso di mettere fine ai nostri giorni (eutanasia e suicidio assistito).

Approfittando di questa dipendenza, lo Stato «spacciatore» si arroga qualsiasi facoltà: trasformare i diritti fondamentali della persona in concessioni legate al possesso di un certificato (identità digitale), cioè il green pass. Esso si fonda su una tecnologia che è adattabile a parametri diversi. Lo Stato Leviatano può obbligare, di fatto, a sottoporsi ad un trattamento sperimentale, pena la soppressione dello stipendio, può mentire a livello istituzionale («Chi non si vaccina si ammala, muore e fa morire»), può cavalcare la divisione sociale (è stato auspicato il «rientro nella società civile di una parte della popolazione» che era stata messa fuori, ai margini). Lo Stato Leviatano può sacrificare le attività economiche, attaccando quel contratto sociale implicito che permette all’economia di funzionare, facendo ampio ricorso ad un moralismo ipocrita e aggressivo e con il continuo ricorso a categorie (bene comune, altruismo, solidarietà, responsabilità sociale, ecc.) che non possono essere invocate, mancando le condizioni che le caratterizzano. Nella recente gestione pandemica, il passaggio moralmente più grave è stato quello di avere trasformato una discutibile politica sanitaria in un fatto etico. Da questa ambigua operazione discendono infatti le decisioni di milioni di persone (vaccinazione propria e dei propri figli). Che si sia trattata di una operazione condotta in malafede, rilanciata acriticamente da media, lo dimostra non solo il fatto che, chi invocava la vaccinazione per proteggere il prossimo, già sapeva (come emerso da rivelazioni giornalistiche) che in realtà questi prodotti non impedivano il contagio, ma anche perché era scorretto ed ingiusto comunque invocare categorie morali che sono state usate o abusate. È il caso del bene comune che non è uno, non è uguale per tutti e lo Stato non ne ha l’esclusiva. C’è invece un bene comune per ogni singolo consorzio umano diverso uno dall’altro. Si può dire che è mancato il discernimento.

Come bene spiegato nel docu-film da due sacerdoti, il bene comune fa la sintesi fra il bene della collettività e quello della persona, libera di esprimersi secondo la propria coscienza (che deve essere sempre bene informata). Sono mancati il bilanciamento, perché si è realizzata una costrizione frontale dei diritti, e la completa informazione delle coscienze (che avrebbero dovuto essere libere, obiettive e oggettive). Quindi, mancando una corretta informazione, in presenza di una costante azione di censura (ad esempio, le notizie sugli eventi avversi), le coscienze erano impossibilitate a decidere cosa fosse bene per sé e per gli altri. E’ difficile parlare di bene comune quando si fanno confliggere lavoro e salute o quando si è cancellato qualunque riferimento alla Legge Naturale quindi ad bene oggettivo valido per tutti. Però la moralizzazione è un’arma molto potente, utilizzata tuttora. Infatti, il nuovo piano pandemico 2023-2025 fa ampio ricorso a questo moralismo. Per dare consistenza a questa impostazione, è posto al centro un parere del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) che risale al 2015, anni prima della comparsa della Pandemia. Ritorna alla mente un’altra affermazione di Ivan Illich, una sorta di profezia, in cui descriveva un mondo in cui la salute non sarebbe stata più una proprietà naturale, di cui si presume che ogni essere umano sia dotato fino a quando non si dimostra che è malato, ma una méta permanentemente lontana cui si ha diritto di aspirare in virtù di principi di giustizia sociale. In questi anni abbiamo permesso sempre più allo Stato di «allargarsi»; basti pensare che oggi le famiglie, i genitori e gli adulti si sono progressivamente deresponsabilizzati delegando allo Stato ogni aspetto della formazione dei giovani, compresa quella etica, affettiva e sessuale. Il lavoro della scuola è tracimato e ora si occupa di «sensibilizzare allo sviluppo sostenibile», «promuovere la società inclusiva», indottrinare su omofobia, transfobia e stereotipi di genere.

Coerentemente a questa impostazione, in campo sanitario si è creato un sistema di salute, la cui vocazione è farsi carico di tutti i malati e di tutte la malattie. Ci si aspetta che il Sistema diventi un «guaritore universale» al punto che la morte è passata dall’essere una fase ineluttabile della vita terrena, che la medicina poteva in certi casi ritardare, a rappresentare un fallimento del sistema stesso. In questo senso, un ruolo cruciale è stato giocato dai media che evidentemente non fanno più informazione ma propaganda (storytelling) e dai quali è azzerata la nostra capacità critica di leggere la realtà per farci telecomandare. Non bisogna però attribuire loro più potere di quanto già hanno e dobbiamo riconoscere che quanto si è accettato ora è perché lo si era accettato già prima in passato (ad esempio, la produzione di pannolini per uomini, la possibilità per gli uomini di partecipare a manifestazioni sportive femminili, l’ecologismo antiumano che salva la pianta ma elimina il bambino, la cultura dello scarto in atto con gli anziani). Proprio come nei giorni della Pandemia ci sarebbe stato bisogno di una visione d’insieme (Sindemia), adesso bisognerebbe osservare che la profonda permacrisi in cui l’Occidente è sprofondato, passando da emergenza in emergenza (Covid, guerra, emergenza energetica, climatica ed alimentare), è in realtà frutto di una crisi di identità dell’uomo post-moderno. Essa viene usata per dare una direzione fortemente autoritaria alla nostra società e per stringere il controllo sulle persone attraverso i nuovi mezzi tecnologici che oggi lo permettono. Travestita da pensiero corretto, questa pressione si insinuava nei cuori e nelle menti di tante persone, inclusi tanti cattolici, trovando terreno fertile in una società secolarizzata che ha perso il senso autentico dei valori, il significato ultimo del vivere (e quindi non riconosce più l’intangibile dignità di ogni persona), l’importanza e il significato di bene comune, la presenza di Assoluti che ci delimitano (e così facendo ci custodiscono).

Allora, l’avanzata sanitaria a cui stiamo assistendo è il frutto di un ribaltamento: un tempo il sacro si trovava al di sopra della vita, mentre ora, rimosso Dio, smarrita la dimensione trascendente, confinata la religione ad un fatto privato, la vita stessa ha preso il posto del sacro. La gente ha perso il senso del vivere. Questa pandemia ha ridato alle persone un senso alle loro vite e «sapete qual è – dice lo psicanalista Emilio Mordini nel docu-film – il senso che le persone hanno ritrovato? Il senso della loro vita è diventato vivere», il che mi fa concludere che siamo ad un passo dalla follia collettiva perché lui dice che «questo è un senso che non è un senso». Vige quindi quella che il filosofo francese Olivier Rey chiama «l’idolatria della vita». Peraltro la formula salvare vite non suonerebbe nello stesso modo se non ci fosse il concetto del termine salvatore e della salus spirituale; eppure le vite che ad ogni prezzo bisogna salvare si ritrovano staccate da qualunque prospettiva religiosa; meglio, la nuova religione è la scienza, trasformata in un dogma in nome del quale si stanno imponendo cambiamenti epocali, impensabili nel nostro modo di vivere ma anche di essere persone e non solo in ambito medico; pensiamo all’ecologismo che vede nell’uomo un problema e che oggi non si fa sfuggire occasione per ricondurre ogni fenomeno naturale ad un’emergenza epocale (ad esempio, l’alluvione in Emilia Romagna dove si è persino parlato di «sciacallaggio climatico»). Qualche giorno fa Giuliano Amato, presidente della Consulta, ha lasciato un accorato appello pubblico a «contrastare il cambiamento climatico e adattarsi al cambiamento climatico; il che esigerà da tutti noi l’osservanza generalizzata e uniforme di nuove regole». Che la sanità stia diventando una nuova religione è rivelato da molti segnali: la ritualità delle pratiche salutistiche con simbolismo pseudoreligioso (lavaggio delle mani, le mascherine), l’appello alla disponibilità a compiere sacrifici personali (che una volta erano richiesti dalla devozione religiosa), l’affidamento a nuovi sacerdoti (i televirologi). Come dice dom Meiattini «la malattia diventa il nuovo peccato originale da cui nessuno è risparmiato e la cura il nuovo battesimo salvifico, universalmente necessario». Interessante è l’interpretazione fornita da Desmet per il quale le mascherine sono dei rituali con i quali la gente dimostra che la collettività è più importante del singolo. Del resto, persino la recente sentenza della Corte Costituzionale sancisce proprio questo. E’ stato poi chiesto a Desmet: perché le persone hanno accettato e continuano ad accettare la narrativa e le condizioni più assurde (ad esempio, l’uso della mascherina in macchina o in un bosco da soli)? La risposta è stata semplice: non lo fanno perché le considerino giuste o scientifiche, ma per il nuovo legame sociale che esse creano perché mitigano la loro ansia esistenziale (tipica dell’uomo post-moderno). Questa narrazione offre loro un oggetto (il virus) o un capro espiatorio (il no-vax, il negazionista) su cui sfogare questa loro ansia oltre a creare e a dare vita a nuovi rapporti e legami sociali, sentendosi parte di un «club di buoni e giusti». Questo porta, secondo Desmet, ad una vera e propria «intossicazione mentale» che è il vero motivo per cui le persone accettano le cose più insensate, per i vantaggi psicologici che comportano, e che spiega anche la facilità con cui si può fare accettare qualsiasi misura, anche alla cosiddetta intelligentia. La Scienza oggi non è mai stata così dipendente da sistemi di potere economico, capaci di condizionare persino la ricerca, e non si è visto che questo Consenso Scientifico in realtà era un punto di vista, imposto in modo autoritario, violento e aggressivo, che ha marginalizzato qualunque voce, anche minimamente critica, scientifica e autorevole. Questo approccio potrà essere riproposto sia per le nuove pandemie, sia per le nuove emergenze, ma va detto che il futuro va affrontato con realismo. Nella crisi sanitaria il Potere vede oggi una finestra di opportunità da cogliere per accelerare la transizione digitale e attuare meccanismi di sorveglianza e controllo che, in altre circostanze, la popolazione rifiuterebbe. Una volta compiuti questi cambiamenti, non si può più tornare indietro (il green pass docet) e ci sarà sempre un’altra crisi, un’altra emergenza, una nuova minaccia da invocare per giustificare la resistenza. Si capisce allora che quello in atto, ammantato di buoni scopi, è un attacco all’uomo. Con cinismo i malati sono messi al servizio di un’agenda, la mentalità profilattica è strumento di gestione sociale, si propongono modifiche del DNA nei concepiti in provetta, i cambiamenti di genere ai bambini, ai giovani e ai ragazzi. Sono tutti steps che vanno in una direzione (Transumanesimo). D’altronde, la spinta a negare la logica a non riconoscere la realtà, che fomenta ormai tutte le emergenze, era partita già prima, sostenuta da un’ideologia che, annullata la dignità dell’uomo, lo riduce a gregge manipolabile oppure a macchina scartabile. E’ necessario allora recuperare e aiutare gli altri a recuperare una consapevolezza individuale che abbiamo smarrito, chiedendoci da chi veniamo, chi veramente siamo, dove andiamo. Dobbiamo recuperare uno sguardo protettivo sull’uomo e allora vedremo un’altra storia, vedremo quello che altri stanno facendo e allora potremo reagire. Cristo ci ha liberati per la libertà.

[3 – fine]

Stefano Martinolli

PRIMA PUNTATA. Sanare la sanità.

SECONDA PUNTATA. Uscire dall’ideologia dei pazienti permanenti.

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Stefano Martinolli

Membro del Collegio degli Autori