
(Klaus Schwab – Thierry Malleret, The Great Narrative. For a Better Future, Forum Publishing – World Economic Forum 2022).
Per la sorpresa di qualcuno, la morale gioca un ruolo tutt’altro che piccolo nel Great Reset,il progetto, economico ma anche sociale e culturale, dalle forti connotazioni di ingegneria sociale, per un mondo più resiliente, equo e sostenibile in tempi di problemi e cambiamenti senza precedenti, esposto a grandi linee da Klaus Schwab sin da The Fourth Industrial Revolution e voluto dal World Economic Forum. Lo mostra molto bene il paragrafo Morality and Values, inserito significativamente tra le soluzioni proposte nel progetto generale del libro: morale e valori dirigono l’azione di singoli e gruppi, in quanto basi per decidere ciò che è «appropriato» e agire di conseguenza, ed è per questo che attirano l’attenzione degli autori.
The Great Narrative, che, a detta di Schwab e Malleret, è espressione dei loro valori umanistici e basato sull’evidenza e sulla scienza, prosegue il percorso avviato con Covid-19: The Great Reset, richiamando all’azione, collettiva e individuale, e indicando vie concrete per metterlo in pratica. L’idea-guida è approfittare del momento di crisi per il covid, che stravolge il quotidiano, per implementare le misure necessarie al cambiamento globale progettato, altrimenti troppo doloroso da introdurre ex abrupto. Vale la pena notare che un’idea del genere, espressa in questi termini, potrebbe essere considerata di gran lunga troppo ambiziosa: dopotutto, significa risolvere contemporaneamente la crisi presente e i problemi già accumulati dal passato. Per questo è necessario adottare un’unica grande narrativa ispiratrice che indichi la strada da percorrere (da cui great narrative), presentata come il centro attorno a cui si saldano le diverse storie offerte tramite cinquanta conversazioni con pensatori e opinion-maker di primo livello. In questo contesto, morale e valori (molto modernamente, la prima concernerebbe soprattutto le norme culturali e sociali e i secondi riguarderebbero invece soprattutto convinzioni e credenze personali) rivestono un ruolo cruciale, favorito anche dalla pandemia (è un’occasione favorevole per la riflessione morale, una considerazione piuttosto pacifica, anche se la paura non favorisce una riflessione razionale ed equilibrata). Il nocciolo della questione è rielaborarli in modo che supportino la nuova narrativa: ripensare il loro ruolonelle nostre vite e rivalutare come influenzano il nostro comportamento e il nostro processo decisionale – cioè, qual è il modo migliore perché permeino le nostre decisioni e chiamate all’azione.
A parere degli autori, si tratta soprattutto di cercare alcuni valori condivisi a livello globale, ma in un contesto pluralistico dato per acquisito e considerato positivamente (l’esempio scelto, di David Krakauer, è infelice: pensare la diversità dell’umanità a riguardo nei termini della convivenza di specie diverse in ecosistemi complessi). Un sistema valoriale comune accettabile per tutti sarebbe un’illusione, proporlo comporterebbe imposizione, mentre il pluralismo morale sarebbe una precondizione necessaria per la cooperazione – una considerazione inaccettabile per la Dottrina sociale, anche dal punto di vista filosofico, ma non particolarmente nuova; per di più, questo aspetto più universale del problema morale viene confuso con l’imposizione del modello politico e sociale occidentale al resto del mondo (e accettare il pluralismo significherebbe ad es. accettare la coesistenza con il modello cinese di capitalismo della sorveglianza). Il progetto di riformulazione globale dei valori è possibile, senza incidere sulle divergenze morali, individuando valori comuni che si saldino su temi di interesse vitale per l’umanità nel suo insieme (ciò troverebbe sostegno nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, base di un sistema di valori universale). Ecco allora il cuore del progetto: la lotta al cambiamento climatico e al deterioramento ambientale come punto focale di questo set comune di valori.
Questi devono poi essere inseriti all’interno dell’economia, perché questa è considerata – discutibilmente – il centro da cui affrontare i problemi globali e valori e morale sono necessari a orientarne le pratiche (Adam Smith e l’economia politica del XIX sec. sono qui un riferimento). Ciò significa ridefinirla: ripensarne indicatori, modelli e concetti – dall’efficienza al tasso di sconto – come concetti valoriali, in modo da incorporarvi l’impatto ambientale e in particolare quello sul cambiamento climatico. I valori e la morale non sono qualcosa di esogeno rispetto all’economia perché questa concerne le decisioni collettive della società. Di fatto, starebbero entrando nell’economia grazie all’interdisciplinarità. Altri esempi positivi ma ancora embrionali sono le nuove discipline come l’economia narrativa, l’economia evolutiva e la modellizzazione basata sull’agente o gli studi di Luigi Zingales. Le menti di questa operazione sembrano dover essere gli economisti stessi, in modo da non abbandonare alla politica né alle industrie la decisione sui valori morali.
Tutto ciò comporta, come parte integrante del progetto, la proposta indiretta di un’idea della morale, dell’essere umano e del mondo molto definita per quanto convintamente pluralistica, con tutte le ricadute filosofiche e teologiche che ne seguono, anche se metterla a fuoco richiede uno sforzo di riflessione. La scienza morale vera e propria, però, non sembra chiamata a giocare un ruolo di rilievo, perché la discussione morale sembra diventare soprattutto interna all’economia.
La proposta di Schwab e Malleret si presenta anche sotto aspetti condivisibili: reintrodurre la moralità al cuore delle nostre vite e delle nostre istituzioni, anche se a partire dall’economia; riconoscere che la morale ha un impatto sull’economia e che è possibile rimettere la ricerca del bene comune al centro delle policies solo grazie alla moralità e al primato dei valori. L’homo oeconomicus (sic) è realmente una visione incompleta dell’essere umano: la massimizzazione dell’interesse e la decisione razionale, concetti alla base dell’economia classica, non esauriscono il suo comportamento. Il mercato capitalistico ha effettivamente dei limiti. Inoltre, l’economia incorpora realmente principi morali. Tuttavia, i problemi non sono pochi e c’è confusione tra piani di discussione diversi.
Per prima cosa, incorporare il solo valore dell’ambiente come focus comune è già espressione di una teoria morale non neutrale (perché dovremmo preoccuparci dell’ambiente? Soprattutto, perché è un valore morale?) e ciò richiederebbe già una giustificazione. Anche per questo, scegliere solo questi valori, isolatamente da tutto il resto, per incorporarli all’interno dell’economia è un’operazione che rimane non fondata dal punto di vista razionale – per fare un esempio, non viene spiegato fino in fondo qual è il loro rapporto con il bene delle persone coinvolte (se non come pericolo per la vita) e verso quale fine ci si orienta (fondamentale per la morale). Si propone un valore isolato, scisso da tutto il quadro morale che lo fonda e in cui si può riconoscerne il senso (ad esempio, la dignità della persona umana). In questo modo, si assolutizza l’ambiente, rischiando di non valutarlo adeguatamente in rapporto all’uomo. Va detto anche che proporre dei valori e una morale comuni riferiti all’ambiente lasciando intatte le divergenze morali – al di là delle ovvie critiche da muovere al pluralismo relativista – significa proporre qualcosa di molto debole, che potenzialmente non è in grado di reggere all’analisi e nemmeno a un attacco retorico ben congegnato, perché non ha una base solida su cui poggiare.
Inoltre, per come è presentato nel testo, questo non è e non può essere un valore morale puro e semplice: se si parla di lotta al cambiamento climatico sotto pena di una minaccia per la vita umana, si sta assumendo non solo una tesi morale, ma anche una tesi scientifica (o più di una!) scientificamente discutibile e comunque contestata più o meno radicalmente da una parte del mondo accademico. In ogni caso, una tesi del tipo “il cambiamento climatico deve essere combattuto con ogni mezzo” ha una dimensione fortemente scientifica e anche una tecnica che non possono essere fatte passare per morale: si tratta già di una discussione a valle, dopo l’accettazione del principio morale della tutela dell’ambiente. Si indica come valore morale da inserire al cuore dell’economia la difesa dell’ambiente – che, questa sì, è un principio morale – ma la si identifica con un modo concreto di perseguirla (la lotta al cambiamento climatico, la decarbonizzazione) che in realtà è già fuori dalla morale in senso stretto, perché incorpora teorie delle scienze naturali (il cambiamento climatico, il ruolo dell’anidride carbonica) e progetti e mezzi tecnici (la decarbonizzazione) che appartengono al livello scientifico e tecnico di indagine della realtà.
Anche la concezione dell’economia sembra confusa. Da un punto di vista epistemologico, essa deve godere dell’autonomia propria di tutte le scienze e deve osservare il suo oggetto da un punto di vista diverso rispetto a quello della morale – altrimenti sarebbe appunto morale, non qualcosa di diverso. Inoltre, i principi e le norme morali non sono oggetti economici, quindi non possono essere messi sullo stesso piano di questi ultimi da parte dell’economia, nemmeno dando loro la priorità. Infatti, la proposta del libro si regge sulla confusione sullo statuto morale del concetto di lotta al cambiamento climatico. Allo stesso tempo, il rapporto tra morale ed economia è molto stretto. Uno è l’uomo che agisce e una è la sua azione (quindi un’azione economica deliberata è sempre un’azione morale), gli obiettivi e i mezzi che si propone l’economia hanno valore morale, positivo o negativo, ma è alla morale che spetta la valutazione di quest’ultimo. Inoltre, l’economia riceve principi dalla morale e più in generale dalla filosofia, perché qui c’è in gioco anche una concezione dell’uomo e del mondo (li riceve anche dalla teologia o da una religione, a seconda dei concetti che l’economista vi introduce, direttamente o indirettamente; si pensi alla finanza islamica). Effettivamente, la tesi dell’homo oeconomicus come soggetto che persegue il proprio massimo utile ha già in sé delle connotazioni filosofiche e morali (profondamente erronee), quindi sì, questo principio deve essere corretto e proprio per il bene dell’economia stessa, i cui risultati altrimenti saranno fallaci. Ciò però non significa necessariamente ridefinire gli indicatori economici. Bisogna distinguere ciò che appartiene al livello propriamente economico e ciò che deriva dalla filosofia assunta, nella consapevolezza – per la Dottrina sociale – che la verità è una e che quanto il cattolicesimo indica non può perciò che avere riflessi positivi in economia e portare la scienza economica a pieno compimento. In particolare, la crescita economica è un obiettivo moralmente positivo, perché è un bene per l’uomo, e non è detto che metterla in discussione non si rifletta poi anche in un pericolo esistenziale. Non bisogna dimenticare che la via per una crescita economica solida e duratura, per quanto sicuramente meno a breve termine, non è quella che corrisponde a una morale dell’utile.
Se il libro ha il merito di riconoscere un ruolo importante alla morale (ma sempre subordinato a quello dell’economia) e di non sovrapporre alla realtà un rifiuto artificiale della morale – l’impostazione nel suo insieme lascia la netta impressione che la morale sia tanto interessante proprio perché necessaria e funzionale a implementare il progetto del great reset, dotata com’è della capacità di influenzare le masse. D’altro canto, un esempio proposto nel testo sembra particolarmente rivelativo della mentalità che vi soggiace: perché un chirurgo che compie un’operazione salvavita con successo non riceve una parte degli introiti successivamente ottenuti dal suo paziente, mentre si ricevono bonusmilionari nell’alta finanza? Un’idea simile corrisponde a una visione molto povera dell’uomo, se non altro come agente economico suscettibile di controllo e sfruttamento da parte di chi è più in alto nella scala sociale.
Miriam Savarese


Miriam Savarese
Dottoressa di ricerca in filosofia (PUCS).
Collegio degli Autori dell'Osservatorio.