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Il fascicolo 2 /2022 del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” è dedicato alla Evangelizzazione delle Americhe, in aperta polemica con l’ideologia della Cultura della cancellazione (Cancel culture). Dopo quanto detto da Francesco nel suo recente viaggio in Canada, questo argomento è di grande importanza e attualità. Pubblichiamo uno stralcio dello studio del prof. Miguel Ayuso pubblicato nel suddetto fascicolo. Per conoscere l’indice del fascicolo e per acquisti VEDI QUI
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Colonizzazione e civiltà
La civiltà nasce, in primo luogo, dalla colonizzazione. Oggi la connotazione negativa attribuita al “colonialismo”, inteso come oppressione, ha oscurato il significato originario della colonizzazione, che non significava l’insediamento di emigranti e coloni nelle terre recentemente scoperte o abbandonate. L’azione colonizzatrice si fa mediante la creazione di fabbriche per l’estrazione delle risorse naturali e del loro trasporto. Però a volte si realizza anche – spesso in modo inconscio e non voluto – una penetrazione lenta, percepibile solo poco a poco, della cultura e dei costumi delle terre occupate. Quando il soggetto è un popolo cristiano, la colonizzazione viene accompagnata, e spesso preceduta, dalla civilizzazione, in modo che missionari e coloni coincidono e spesso entrano in collisione nei loro rispettivi lavori.
Il filosofo Rafael Gambra ha spiegato con la sua abituale finezza il compito di civilizzazione intrapreso dagli spagnoli. Egli inizia notando la singolarità di questo caso, diverso e in un certo senso unico, per il quale più che di colonizzazione bisogna parlare di «penetrazione culturale o di estensione delle nostre frontiere», e perfino «di una profonda e rapidissima assimilazione di popoli mediante una feconda inegrazione». Infatti – scrive – a meno di cinquanta anni dalla scoperta già venivano erette nell’America spagnola cattedrali e università della grandezza e importanza di quelle della penisola. Inoltre l’atteggiamento dei conquistadores dell’America nei confronti dei nativi era diverso da quello manifestato nelle incursioni nel concintente africano. Lungi da ridurli in schiavitù, come nemici della fede cristiana e in reciprocità con la pratica degli arabi verso i prigionieri cristiani, «si favorì fin dal principio la loro accoglienza e l’alleanza con loro, e le loro vite e proprietà venero protette da leggi della Corona che riconoscevano loro una considerazione analoga a quella destinata ai suddidi della penisola»[1].
Quale la causa di questa differenza di tratto e di atteggiamento? Egli pensa che la ragione ultima debba essere cercata nelle motivazioni che indussero i Re Cattolici a finanziare la flotta della scoperta e le successive spedizioni. È bene non dimenticare la difficile situazione esistente nel seno della Cristianità. Da un lato, strettamente spagnolo, non si era ancora conquistata Granada quando iniziarono i preparativi della spedizione di Colombo, per cui – pur se gli arabi ereano già in ritirata – le circostanze non erano particolarmente favorevoli per l’acquisizione di nuove terre in luoghi ignoti. Per di più, in un contesto più ampio, una immensa cortina di popoli islamizzati si estendeva verso oriente, rafforzata dalla caduta di Costantinopoli nelle mani dei turchi, che avrebbero potuto imporsi nel Mediterraneo, pronti per puntare alle porte di Vienna. Infine, sopravviveva la leggenda di un regno cristiano più in là dal mondo islamico, quello del preste Juan de las Indias, con cui i principi occidentali desideravano collegarsi per poter attaccare il mondo maomettano sui due fronti. Da qui le leggi a protezione dell’indio che cominciano con le raccomandazioni della stessa Isabella la Cattolica, così come il fatto che gli spagnoli furono gli unici conquistatori a porsi la questione delle legittimità delle loro conquiste.
L’intenzione non era tanto nazionale quanto cristiana, il che mostra ancora di più l’azione civilizzatrice degli spagnoli in America: «Non cercavano un impero, e nemmeno volevano ampliare i propri confini colonizzando nuove terre. L’America fu per essi come un dono del Cielo, al quale seppero rispondere con il sovrumano valore dei conquistadores e lo zelo appassionato dei missionari. La civilizzazione trionfò oltre quanto Menéndez Pelayo avrebbe chiamato “las más bárbaras gentilidades” e da fecondo matrimonio sorse in quel grande continente il più bell’ampliamento della Cristianità ispanica»[2].
La realtà delle scoperte non rispose certo alle aspettative politico-religiose dell’Occidente. Se l’islam fu sconfitto, lo fu nella vecchia Vienna e a Lepanto. Però lo schema politico-religioso sarebbe rimasto valido e molto efficace: «l’America fu un grande imprevisto nel cammino verso le vere Indie. Però ciò che spinse la Corona di Castiglia a patrocinare la scoperta evitò prima di tutto che quegli immensi territori cadessereo alla mercé di corsari e filibustieri, facile preda dell’ambizione di avventurieri e pirati. Solo con una retroguardia così forte come l’impero spagnolo la colonizzazione si è potuta realizzare in un quadro di legalità. Nonostante i chiaroscuri che una conquista tanto lontana avrebbe comportato, è certo che, in poco più di mezzo secolo, l’America ispanica si unisce – civilizzata e cristianizzata – al mondo occidentale, che, con questo rinforzo, diverrà la civiltà predominante nel mondo. Quando i migrandi della Mayflower giunsero sulle coste del Nordamerica esisteva già una civiltà cattolica, con cattedrali e università, dal nord della California fino alla Patagonia, quasi da polo a polo. L’America non viene incorporata come un insieme di aziende o centri coloniali in un mondo indigeno estraneo, come avvenne per la penetrazione inglese in India, ma come una civiltà pienamente integrat, con la medesima fede, la stessa lingua e la stessa struttura mentale della Spagna cristiana. Ciò che Toynbee ha chiamato «il modello mondiale della fusione fortunata di due civiltà»[3].
Miguel Ayuso
[1] R. Gambra, «Civilización y colonización», Verbo (Madrid), n. 259-260 (1987), p. 1148. E continua: «Basta leggere, per esemio, la Historia de la conquista de Nueva España di Bernal Díaz del Castillo per rendersi conto che l’attitudine del conquistatore era questa, anche in caso si commettessero abusi e infrazioni di quelle leggi benevole».
[2] Ivi, p. 1150.
[3] R. Gambra, La cristianización de América, Mapfre, Mdrid 1992, p. 12.
