Siamo molto contenti di informare che il 13mo Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo del nostro Osservatorio (“Il modello cinese: capital-socialismo del controllo sociale”, Cantagalli, Siena 2021) è stato pubblicato in Francia dalle Éditions de l’Homme Nouveau di Parigi. Ringraziamo il Direttore dell’Editrice parigina, Philippe Maxence [nella immagine], e pubblichiamo la nostra traduzione della prima parte della sua Prefazione all’edizione francese del Rapporto. La seconda parte verrà pubblicata domani. Si tratta di un testo significativo che bene si inserisce nel progetto del Rapporto, approfondendo la crisi delle democrazie occidentali da porsi in stretto rapporto con l’importazione qui da noi del Modello cinese. Con l’occasione invitiamo all’acquisto dell’edizione italiana scrivendo qui: acquisti.ossvanthuan@gmail.com  [Stefano Fontana]

 

Prefazione all’Edizione francese

di Philippe Maxence

Fondato circa vent’anni fa da mons. Giampaolo Crepaldi, oggi vescovo di Trieste (Italia), diretto da Stefano Fontana, l’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân sulla dottrina sociale della Chies pubblica ogni anno un Rapporto tematico. Il XIII Rapporto, pubblicato in italiano nel novembre 2021, esamina il modello cinese di controllo sociale. Siamo molto contenti di pubblicare per la prima volta in lingua francese questo lavoro basato sul contributo di specialisti di vari Paesi, guidati nelle loro analisi dai principi della dottrina sociale della Chiesa.

Perché il modello cinese?

La relazione degli Stati occidentali davanti alla pandemia da Covid-19 ha certamente condotto i responsabili dell’Osservatorio cardinale Van Thuân ad interessarsi della pratica dei crediti sociali messi in pratica dai Cinesi. Ma è stata l’attrattiva che un tale modo di governare esercita sui dirigenti dei Paesi occidentali a far sì che il Rapporto annuale dell’Osservatorio abbia studiato questo argomento. In un modo o un altro, un giorno o l’altro, passata o meno la crisi nata con il Covid-19, questo tema avrebbe comunque suscitato un tale lavoro. Molte ragioni lo possono spiegare. Senza la pretesa di essere esaustivi, possiamo presentarne alcune.

Le democrazie occidentali vivono oggi una profonda crisi di legittimità, come se fossimo arrivati alla conclusione di un ciclo o, meglio, alla fine di un periodo storico. Questa crisi di legittimità si manifesta in modo evidente nell’aumento del disimpegno elettorale, nella crescita di quanto i politologi chiamano “populismo” che è spesso una manifestazione di speranza dentro l’emergere dell’”uomo della provvidenza”, ma anche della crescente violenza dei propositi, esacerbati nella loro diffusione da parte delle reti sociali. Questa violenza evidenzia la crescente incapacità di dialogo civico e la scomparsa  totale  della ricerca di un bene politico. Non solo ognuno rimane sulle proprie posizioni ma soprattutto viene messo in campo un processo di delegittimazione non appena l’altro fa una proposta. Subito egli viene moralmente screditato.

A dire il vero, una tale situazione non è per niente nuova. I rivoluzionari francesi del 1789 già si identificavano, al di là delle differenze di partito, per ritenere che i nemici della libertà non avrebbero dovuto avere alcuna libertà. Più di recente, quando la sinistra francese giunse al potere nel 1981, il deputato socialista André Laignel disse a Jean Foyer, già Guardasigilli di Charles De Gaulle: “Voi avete giuridicamente torto perché siete numericamente minoritari”.

L’esaurimento delle democrazie occidentali

In un certo modo, le democrazie occidentali sono esaurite. Se sono uscite vittoriose dalla lotta contro il nazismo, al prezzo di un’alleanza con il comunismo marx-leninista; se hanno visto il crollo del blocco sovietico e creduto che il proprio modello si sarebbe ormai imposto come l’unica forma possibile e legittima di costruzione politica; se, a questo proposito, hanno sviluppato il sogno di una società universale di individui mossi principalmente dal soddisfacimento dei beni materiali, delle comodità e dei divertimenti, esse sembrano ritrovarsi oggi in una impasse, data principalmente dalla necessità di superare le proprie contraddizioni.

Sul piano storico, esse hanno vinto il nazismo e il fascismo tramite la forza militare e mettendo in qualche modo tra parentesi la vita democratica normale. Perfino facendo appello, come Stalin, alle antiche virtù del patriottismo, un patriottismo più rivoluzionario che veramente virtuoso.

Se la sconfitta del blocco sovietico è potuta avvenire pure essa per una forma di esaurimento, le democrazie occidentali si trovarono costantemente mobilizzate e pronte a rispondere, non più appellandosi alle armi dei popoli, ma per la via (ipotetica, ma tecnicamente possibile) del ricorso all’arma nucleare. L’esistenza e la minaccia del blocco sovietico le manteneva in una certa forma tragica permettendo al loro interno, in ragione dello scudo nucleare, di approfittare nello stesso tempo di accrescere i beni materiali. La minaccia ad Est mantenne in permanenza questa tensione. Con la sua scomparsa, non altro restò che il consumo e il godimento. In altre parole la via aperta verso l’esaurimento.

Il filosofo italiano Augusto Del Noce ha già mostrato che il secolarismo è alla base del nazismo, del fascismo e del comunismo come pure della società dei consumi. Nel suo libro L’Epoca della secolarizzazione, egli sottolinea che la società del ben-essere, che egli chiama la società tecnologica, si definisce come “una società che accetta tutte le negazioni del marxismo circa il pensiero contemplativo, la religione e la metafisica, che accetta di conseguenza la riduzione marxista delle idee al rango di strumenti di produzione, ma che, d’altra parte, rifiuta gli aspetti messianico-rivoluzionari del marxismo, ossia quanto resta ancora di tracce religiose nell’idea rivoluzionaria. Da questo punto di vista, essa rappresenta veramente lo spirito borghese allo stato puro, lo spirito borghese che ha trionfato dei suoi due avversari tradizionali, la religione trascendente e il pensiero rivoluzionario”.

Conformarsi alle norme dominanti

Oggi le democrazie occidentali si confrontano con un’altra contraddizione. Esse devono mantenere  l’illusione del consenso popolare e nello stesso tempo conservare a tutti i costi la società dell’opulenza. Per quanto riguarda il consenso popolare, la novità consiste soprattutto nei mezzi adoperati, essendo i precedenti esauriti per troppo uso. È qui che entra in gioco il modello cinese, esso stesso potendosi appoggiare sullo straordinario sviluppo degli strumenti tecnologici, inventati per buona parte dagli Occidentali.

Tuttavia, le società occidentali non sono solo all’origine dello sviluppo degli strumenti digitali. Esse hanno anche sperimentato diverse forme di controllo sociale delle quali l’ultima tappa è stata l’utilizzo del potere statale, il solo a poter pretendere la legittimità delle costrizioni.

Nato all’interno della sociologia americana, il concetto di controllo sociale può essere definito in modo semplice a ampio come: “l’insieme degli strumenti e delle pratiche, formali o informali, messe in atto all’interno di una società o di un gruppo sociale, affinché i suoi membri agiscano in conformità con le norme dominanti in vigore”. A questo titolo, esso è visto come neutro, positivo o negativo, secondo il sistema di valori in cui si incarna o in funzione dei fini che persegue. Ancora, esso viene considerato positivo se stimola un comportamento considerato accettabile, o negativo se  un comportamento deviante. Si noterà che questo concetto si inscrive nel quadro della modernità, del suo sistema dei valori e del soggettivismo. Contrariamente alla filosofia ereditata da Aristotele e da San Tommaso d’Aquino, esso non tiene minimamente conto di qualche ordinamento al bene comune.

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[Traduzione dal francese di Stefano Fontana]

 

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