Sull’ultimo numero del bimensile cattolico francese L’Homme Nouveau è stato pubblicato un dossier dal titolo “Fin de vie. Italie : l’Église catholique peut-elle accepter le suicide assisté ?” [Fine vita. Italia: la Chiesa cattolica può accettare il suicidio assistito?”]. Il Dossier contiene scritti di Odon de Cacquerai, abate Marc Guelfucci, abate Claude Barthe, Jeanne Smits e una intervista a Stefano Fontana che abbiamo già pubblicato in lingua italiana nel nostro sito [Leggi qui].
La domanda si pone d’obbligo dopo l’uscita dell’articolo di Carlo Casalone SJ per La Civiltà Cattolica dal titolo “La discussione parlamentare sul «suicidio assistito»” . In sintesi – come commenta L’Homme Nouveau nella presentazione del suo dossier – padre Casalone «difende la possibilità di sostenere» il progetto di legge in discussione al Parlamento italiano «che va ad aprire la strada al suicidio assistito, al fine di ridurre il rischio di veder legalizzato un approccio molto ampio all’eutanasia per via referendaria». Nel frattempo, comunque, la Corte costituzionale italiana ha respinto questo referendum, organizzato dall’Associazione Luca Coscioni.
Rimane la proposta, da parte di Casalone, di «accettare un male certo per evitare un potenziale male maggiore». Si tratta, quindi, di «un’evoluzione sorprendente dell’insegnamento morale della Chiesa»: siamo cioè all’accettazione del principio eterodosso della scelta del “male minore”.
In sostanza – dice Fontana nell’intervista – padre Casalone apre «alla possibilità di un’adesione dei cattolici» alla legge sul «suicidio assistito». Questo approccio è stato contestato da «gran parte del mondo cattolico», perché «quando si tratta di azioni intrinsecamente cattive, il cosiddetto male minore è già il male più grande». Fontana intende dire che, secondo il magistero cattolico, il male minore non è la scelta tra due mali o tra due modalità di trasgredire il Decalogo: il male minore è, semplicemente, l’assenza del male, poiché tutta la Rivelazione comanda di evitare il male e di fare il bene. Al politico, in particolare, non è lecito fare negozio tra una modalità di legge ingiusta e una che considera meno ingiusta, perché sono comunque ingiuste entrambe: egli è tenuto, al contrario, a promulgare leggi giuste e a contrastare leggi ingiuste.
Si tratta, insomma, – spiega Fontana – di un abbandono evidente del diritto naturale (e cristiano) e dei «principi non negoziabili», sostenuti da Benedetto XVI, dei quali il rispetto della vita è il fondamentale. Nella politica odierna c’è una contraddizione evidente. Ovvero, vi è la presunzione di eliminare qualsiasi fondamento morale (relativismo etico) e, nello stesso tempo, la politica scivola spesso in una sorta di «totalitarismo etico», poiché pretende di legiferare su ogni questione antropologica.
A dare man forte a questo schema ideologico c’è anche una certa teologia contemporanea, in ambito ecclesiale, che mal sopporta l’esistenza di un diritto naturale, il quale assegna alla coscienza «una funzione puramente applicativa e non creativa». La nuova teologia la intende invece creativa. Ma Fontana riafferma la Dottrina sociale: la coscienza è sì creativa per quanto riguarda il bene da fare, ma per nulla creativa quando si tratta del male da evitare. La crisi ecclesiale italiana è dunque un fatto, anche per via del silenzio dei vescovi – o del loro poco chiaro modo di esprimersi – sulle questioni eticamente sensibili.
L’abate Claude Barthe scrive, nel dossier, che la dottrina morale della Chiesa non si regge affatto sul principio del male minore – come ritiene Casalone nella sua teologia – ma su quello della «tolleranza», secondo cui, in alcuni casi, «ci si può astenere dal reprimere un male, poiché l’impedimento ad esso causerebbe un male più grande». Si tratta, cioè, non di scegliere tra due mali, ma di tollerarne uno (commesso da altri) per evitarne uno peggiore.
È strano che Barthe equivochi e ritrovi il principio del male minore nell’enciclica Evangelium vitæ (n. 73) di san Giovanni Paolo II, mentre invece c’è l’esempio concreto della tolleranza – non sulla questione dell’eutanasia, ma su quella dell’aborto: il politico potrebbe legittimamente votare, se non esistessero altre possibilità, una proposta mirata a limitare i danni (il numero di morti) di una legge abortiva, ma solo nel caso già esistesse una legislazione di questo tipo. Non si tratterebbe, quindi, né di una scelta tra due leggi inique, né di una collaborazione attiva e illecita a una legge ingiusta, ma di un tentativo «legittimo e doveroso» di attenuarne l’iniquità. Se, infatti, non si limitassero i danni delle leggi abortive, il numero di morti sarebbe ben maggiore. Lo stesso principio di tolleranza potrebbe essere applicabile pure in questo caso, cioè sul tema dell’eutanasia. Che poi i politici – specialmente i cattolici – abbiano frainteso l’enciclica per giustificare la scelta del male minore è un’altra faccenda.
Comunque, a parte la tolleranza, la vocazione politica dovrebbe essere quella di tendere al bene e di ricercarlo, piuttosto che restare sempre in una posizione di difesa. Difatti, anche una legge che riducesse i danni di una norma ingiusta precedente introdurrebbe di fatto un male minore evidente, seppure non sia stata proposta direttamente da un qualche cattolico in politica, ma solo da lui tollerata (o indebolita) mediante il voto a favore. In tal senso, è maggiormente auspicabile l’abrogazione di leggi ingiuste e la promulgazione di leggi giuste, più che la tolleranza del male.
Di solito le questioni etiche e politiche sono molto delicate. Per legiferare su temi sensibili come il fine vita è necessaria una guida e la Chiesa dovrebbe aiutare al chiarimento dei concetti e delle questioni, non essere di ostacolo, mediante astrattezze o ambiguità. Testi come quelli di Casalone, al contrario, contengono «pericoli nascosti» – scrive padre Odon de Cacqueray nel dossier. Non servono al chiarimento, ma introducono confusione. Casalone, infatti, introduce concetti vaghi, «male o per nulla definiti», come ad esempio la «distinzione fittizia tra eutanasia e suicidio assistito», per cui c’è spazio a diverse interpretazioni: tutto questo costituirà un pretesto al legislatore per giustificare normative sempre più eutanasiche.
È proprio questa equivocità nel linguaggio – si legge nell’intervista all’abate Marc Guelfucci – a consentire lo scivolamento tra la liceità del suicidio assistito (che dovrebbe fondarsi sulla volontà del malato) all’eutanasia (che potrebbe escludere questa volontà). Padre Casalone, comunque, non è il solo a creare confusione in ambito morale. A parte tutta la linea editoriale de La Civiltà Cattolica, le maggiori istituzioni e i più diffusi media cattolici tradiscono oramai un’evidente insofferenza nei confronti della teologia morale ortodossa e cercano di piegarla ai loro convincimenti personali.
Jeanne Smits, sempre nel dossier, ripropone il caso della Pontificia Accademia per la Vita, presieduta da mons. Vincenzo Paglia, e della sua «inquietante metamorfosi». La metamorfosi, di cui parla Smits, è quella che va dall’«istituzione creata da Giovanni Paolo II come ostacolo alle derive della medicina» all’appiattimento su posizioni accomodanti. Dalla questione omosessuale ai vaccini, dal matrimonio all’eutanasia, dalla contraccezione all’aborto: la Smits fa una sintesi di come la nuova Accademia di Paglia abbia rinunciato all’apologetica, ovvero a prese di posizione comprensibili sui temi della vita e della famiglia, per sostituirle con una sorta di continuo compromesso al ribasso. Nascondendosi dietro lo stereotipo per cui ogni questione è «complessa», l’Accademia giustifica un po’ tutto quello che proviene dal mondo della politica e della società, evitando di prendere posizioni nette. L’Accademia di Paglia, insomma, vive di sfumature, che vanno ad opporsi al nettissimo «non uccidere» di Dio.
Silvio Brachetta
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