Nei precedenti post si è visto come la democrazia assume forme molto diverse quando viene impiantata su uno Stato a matrice liberale o in una realtà sociale dove il popolo è la fonte della legittimazione politica, e ho sottolineato come ne risenta l’idea stessa di bene comune, che viene via via sganciata da ogni riferimento concreto. Rimane da esaminare l’ultimo aspetto della questione, la democrazia come fonte di libertà.
Negli Stati in cui le azioni politiche devono avere l’appoggio e il consenso della popolazione per ammantarsi di legittimità ogni parte politica si pone in contrasto con un’altra in base ai propri interessi di gruppo o a ciò che percepisce come interesse collettivo. È su quest’ultimo punto che si innesta l’idea che la libertà debba essere istituita dalla politica e dallo Stato; ciò per questioni strutturali: una volta che – abbandonato lo Stato liberale – ogni aspetto della vita sociale viene fagocitato dalla vita politica e sottoposto al vaglio del dibattito elettorale, l’idea stessa di libertà perde ogni oggettività, e a quel punto ogni gruppo o minoranza cerca di creare dei paletti entro i quali gli altri gruppi non devono intervenire e lo Stato deve evitare il loro intervento. È su questa base che è fondata la retorica dei diritti e della giustizia sociale, nella quale i primi rappresentano un recinto che lo Stato deve difendere dall’intervento di altri gruppi politici, e la seconda è un’estensione di ciò all’intero corpo politico che viene normato da delle idee che instradino l’azione statale per ottenere certi risultati nel corpo sociale.
Il vulnus di tutto ciò (e la differenza con il liberalismo) si trova nel ricorso allo Stato, in modo che è quest’ultimo a far valere i diritti delle minoranze e ad incarnare una qualche teoria di giustizia, trovandosi così ad espandere ancora di più il suo potere e il suo intervento nella realtà sociale. In tal modo è già avvenuto il passaggio dalla libertà dallo Stato alla libertà nello Stato, poiché se un qualsiasi diritto viene garantito dall’azione statale quest’ultima si trova a dover intervenire per sostenere tale diritto e punirne i trasgressori. Lo Stato è quindi diventato la fonte della libertà politica, ed è la sua azione a garantire la giustizia sociale e i diritti dei vari gruppi. Mentre nello Stato liberale le varie libertà sono prepolitiche e quindi tendenzialmente sottratte all’interferenza dell’autorità pubblica, in quest’ultima forma di Stato le libertà sono politiche, e dato che il monopolista del potere politico è lo Stato, quest’ultimo si trova ad essere il garante e il datore della libertà, che risulterebbe inesistente al di fuori della sfera di intervento statale.
Tale è la forma dello Stato socialista, nel quale la libertà assume di volta in volta la forma data dall’ideologia di riferimento. A questo punto è superfluo ricordare gli effetti a livello politico e sociale dei vari socialismi novecenteschi, poiché nel XXI secolo tale forma di Stato assume un aspetto molto diverso. Le varie ideologie woke, cancel culture e i vari omosessualismi e transessualismi non iniziano ad avere potere in base al controllo diretto dell’apparato statale: non c’è stato bisogno di una rivoluzione che sostituisse i quadri statali dando così il monopolio del potere a rappresentanti dell’ideologia di turno, e quando l’opinione pubblica si è resa contro della loro esistenza il loro potere era già consolidato ed enormemente diffuso. Questo è avvenuto per una questione intrinseca all’idea stessa di libertà: tutti questi movimenti cercano una libertà vera, concreta, non si accontentano di qualcosa di pattizio e che nasca da compromessi con avversari politici. La libertà o è realmente tale o non ha alcun valore per il quale lottare, perciò va cercata in qualcosa di più potente della politica stessa: le idee, la cultura, il pensiero umano.
Può sembrare un controsenso tirare in ballo le idee quando si parla di libertà concreta, ma è un paradosso solo apparente: le idee infatti non sono contrapposte alla realtà, ma sono il risultato della sua conoscenza e la base comportamentale per agire anche a livello sociale e politico. Chiedersi cos’è la libertà? è stato l’inizio di ogni ideologia politica, ed è connessa alla domanda sulla giustizia da perseguire, su cosa è l’uomo e qual è il suo bene, in modo da distinguere tutto ciò da una tirannide e da uno stato di cose ingiusto e oppressivo. È la stessa domanda che si poneva sant’Agostino: cosa distingue lo Stato da una massa di briganti? Con una differenza sostanziale: all’epoca di Agostino non esisteva lo Stato moderno basato sulla filosofia politica hobbesiana, nella quale esso risulta il creatore della realtà politica ed etica del bene comune. Nell’epoca classica tutto ciò era esterno alla sfera del potere pubblico, mentre al giorno d’oggi tutto ciò è interno alla politica anche se prende il via da questioni culturali, perché il potere è necessario per mettere in pratica le ideologie a livello sociale – e dato che il monopolista del potere è lo Stato, da lì occorre passare.
Per quanto riguarda il discorso del bene comune, si resta ben delusi se si ritiene che in quest’ottica esso sia più fondato e concreto rispetto a quanto visto in precedenza: tutte queste ideologie sono nate in università nelle quali l’impianto filosofico è viziato dal volontarismo di fondo, per cui ogni realtà non ha un valore proprio ma lo assume all’interno di un sistema di pensiero. In tal modo non è problematico per tali ideologie assumere come mezzo lo Stato, anch’esso fondato volontaristicamente senza il riconoscimento di nulla di esterno a livello politico, ed esercitare così un potere la cui identità e portata viene definita dall’ideologia stessa.
Il discorso della democrazia era partito da un impianto volontaristico per difendere la libertà ed evitare che venisse imposta dal potere una qualsiasi verità che non fosse condivisa a livello di popolo, creando così il sistema liberale che limitava il potere dello Stato sottraendo degli ambiti al suo intervento; si è poi passati al sistema democratico che poneva nel popolo la legittimazione (anch’essa volontaristica) del potere e delle decisioni politiche; finendo per ultimo con uno Stato socialista che è diventato esso stesso la fonte di una libertà volontaristicamente intesa che non può esistere se non all’interno dello Stato. Il giro del naturalismo politico è quindi completo, essendo tornato al punto di partenza che si voleva evitare.
Nel post conclusivo proporrò alcuni lineamenti per fondare una base alternativa al discorso politico.
PUNTATE PRECEDENTI:
Cos’è la Democrazia: la versione liberale
Cos’è la Democrazia: la legittimazione popolare
