Wilhelm Emmanuel von Ketteler (1811-1877), uno dei fondatori del Zentrum, ha avuto un ruolo magistrale nella elaborazione di un vero cattolicesimo sociale in Germania in grado di offrire una valida alternativa sia al capitalismo  dei tempi della rivoluzione industriale sia alla diffusione dell’ideologia marxista nella seconda metà del XX secolo.

Il vescovo sociale

Nato in una antica famiglia della nobiltà di Münster, Ketteler fu ordinato sacerdote nel 1844 dopo gli studi di diritto e di teologia. La sua vocazione sacerdotale non gli impedì di impegnarsi in politica. Dopo la rivoluzione del marzo 1848, fu eletto deputato all’assemblea nazionale di Francoforte. Egli continuerà la vita parlamentare entrando nel Reichstag, nel 1871-1872, come membro del Zentrum, di cui fu uno dei fondatori. Nel 1850 fu nominato da Pio IX vescovo di Mayence, una delle sedi più prestigiose della Renania. Vero pastore di anime, amante della povertà e della mortificazione, non trascurerà il principale dovere proprio del suo stato, il servizio alla Chiesa. Il suo amore per i poveri e i lavoratori ne fu uno stimabile corollario.

A Mayence fin da subito Ketteler si fece notare per la sua predicazione infiammata sulla “questione sociale”, provocata dalla rivoluzione industriale. “E, cadendo dall’alto di questa cattedra solenne, su un uditorio enorme e appassionato, le sue frasi risuonavano terribili” sottolineava Daniel-Rops. Per esempio: “Una montagna di ingiustizia opprime il mondo; i ricchi sprecano e sperperano, lasciando che i loro fratelli poveri si consumino nella mancanza dei beni più necessari. Essi rubano quanto Dio ha destinato a tutti gli uomini!”.

Un discorso rivoluzionario?

Un discorso così radicale può sorprendere se detto da un predicatore cattolico. Ketteler tuttavia rimase fondamentalmente legato al Vangelo e si oppose ad ogni passo rivoluzionario: “[Cristo] vuole una giusta condivisione dei beni ma non tramite la forza; egli la vuole tramite la riforma interiore dei nostri cuori. Questa è la differenza essenziale tra la dottrina del cristianesimo e quella del mondo” (Sermone del 3 dicembre 1848). La guarigione del cuore umano è estranea al materialismo dialettico di Marx e dei suoi compagni. Per Ketteler una vera giustizia sociale, ispirata dai principi cristiani, si oppone alle ideologie socialista e capitalista e lotta efficacemente contro la miseria di milioni di lavoratori. I sermoni dell’ecclesiastico attiravano le folle, con la benedizione del vescovo locale. Per Daniel-Rops, dalla cattedra di Mayence è nato il cattolicesimo sociale tedesco. Nel 1864, il prelato pubblicò la sua opera maggiore: La questione operaia e il cristianesimo.

Corporativismo e proprietà utile

Il vescovo di Mayence era consapevole che un possibile progresso sociale dipendeva da una associazione di lavoratori, promossa dal clero cattolico. Nel 1846, l’abate Adolf Kolping (1813-1865) fondò una prima associazione (Gesellenverain) ad Elberfeld, nella periferia di Wuppertal. Cinque anni dopo vedeva la luce una vera federazione renana che prenderà il nome di Kolpingfamilie. Nel 1855 essa contava 12 mila aderenti. La cura spirituale e un’abitazione per gli operai erano al cuore del processo iniziato da Kolping. Parallelamente, furono regolarmente organizzati dei congressi a partire dal 1858. Folle di operai vi parteciparono.

Monsignor von Ketteler e i suoi seguaci volevano il ritorno al corporativismo tradizionale per fronteggiare l’impoverimento di milioni di operai, ed anche per combattere il socialismo della lotta di classe: “Secondo i cattolici, il pauperismo era stato causato dal declino della fede religiosa e dalla secolarizzazione della società, che avevano indebolito i sentimenti di carità cristiana e di amore del prossimo”, sottolinea Jean-Fraçois Vidal. Il liberalismo dei sistemi politici successivi al 1789 aveva distrutto questo ideale paternalista e opposto gli interessi degli imprenditori a quelli degli operai, facendo nascere quanto Ketteler chiamava senza mezzi termini un “mercato di schiavi”. I cattolici tedeschi promossero la creazione di Berufstände, associazioni professionali ampiamente ispirate al corporativismo tradizionale, “all’interno delle quali gli imprenditori e i salariati discuteranno e regoleranno in comune i loro problemi” e cercheranno di elaborare una regolamentazione del lavoro. Il paternalismo doveva così rifondare il rapporto tra padroni e operai. Quanto alla nozione di proprietà, così maltrattata dai sostenitori delle due ideologie, fu definita da Monsignor Ketteler, secondo l’insegnamento tomista, in vista del bene comune della società: “La proprietà privata è un diritto naturale che deve essere garantito a tutti, ma il proprietario deve fare in modo che i suoi beni possano essere utili agli altri. L’uso della proprietà privata può venire limitato o orientato in vista degli interessi comuni”. Questa nozione di proprietà utile sarà ripresa da Leone XIII nell’enciclica Rerum novarum (1891).

Alle fonti della Dottrina sociale della Chiesa

I discorsi e gli scritti del vescovo di Mayence si fondavano su un giusto equilibrio ispirato dalla dottrina cristiana e inquadrato dalle istituzioni della Chiesa. Daniel-Rops scriveva: “Si deve certamente richiamare senza tregua i cattolici ad un impegno per la giustizia sociale, che è un aspetto della carità, ma bisogna anche che le virtù personali siano inquadrate, protette e suscitate da istituzioni cristiane”. Gli sconvolgimenti sociali e politici non lasciavano supporre un ritorno al passato. Si doveva tenere conto dell’evoluzione del mondo senza, perciò, cedere alle ideologie del tempo. La Chiesa ha il dovere di inquadrare un vero progresso sociale. Associazioni giovanili, assemblee di operai, società immobiliari per migliorare la sorte di una popolazione marginalizzata dai liberali. Ketteler e l’esperienza sociale del cattolicesimo tedesco hanno cambiato in profondità il volto del secolo della rivoluzione industriale. Essi sono soprattutto stati una fonte di ispirazione per il papa Leone XIII (1878-1903), il cui pontificato fu caratterizzato dalla grande enciclica Rerum novarum, la magna carta della Dottrina sociale della Chiesa. Desideroso di combattere “la sete di novità che da molto tempo si è impadronita delle società e le tiene in una agitazione febbrile – i tempi non sono cambiati! – il papa proponeva una famiglia fondata sull’autorità paterna, che “non deve essere assorbita dallo Stato”, dovendo quest’ultimo dedicarsi alla protezione dei diritti e alla pace. Una società in cui ognuno deve stare al proprio posto, lungi da ogni velleità di conflitto. Una società che ripugna la pigrizia, madre di tutti i vizi. In breve, siamo lontani dalla lotta di classe e dall’assistenzialismo promosso dai socialisti. Per Leone XIII, la giustizia fonda la pace sociale e i rapporti tra il padronato e il proletariato. Il papa adopera una frase terribile per condannare lo sfruttamento dell’operaio: “C’è un crimine che grida vendetta al cielo, quello di defraudare qualcuno del frutto del proprio lavoro”. L’uso legittimo e la giusta ripartizione delle ricchezze sono una regola d’oro per assicurare la pace sociale. La collaborazione della Chiesa a questo grande progetto è essenziale, prima di tutto “per il solo fatto di lavorare a ricondurre con parole e atti gli uomini alla virtù”, occupandosi delle anime, ma anche “per la fondazione e il sostegno di istituzioni che essa stima utili a sollevare la loro miseria”. Niente a che fare con la teologia della liberazione”…

Al seguito di Monsignor Von Ketteler, Leone XIII ha dato alla Chiesa universale una fonte di ispirazione ufficiale. Per riprendere le parole di Alcide De Gasperi: “Ketteler vince Karl Marx, la Rerum novarum trionfa sul Capitale”. Se il cattolicesimo non può scendere a patti con i socialismi, esso non può nemmeno tollerare il capitalismo selvaggio che asservisce i popoli e confisca la loro vita spirituale. A noi, cattolici del XXI secolo, essere gli apostoli dell’autentica Dottrina sociale della Chiesa!. 

Armand Dumesniel

[Traduzione di Stefano Fontana dell’articolo: “Mgr Von Ketteler, précourseur de la Doctrine sociale de l’Église”, “L’Homme Nouveau”, n. 1779, 11 mars 2023, pp. 23-25].   

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