Nel 2009, in occasione della visita ad limina compiuta dai Vescovi argentini, l’allora Papa Benedetto XVI, rivolgendosi a loro, parlò della necessità di un risveglio spirituale e morale delle comunità e dell’intera società, a partire da un’azione evangelizzatrice fondata sui valori cristiani che hanno plasmato la storia e la cultura dell’Argentina[1].

Piché oggi l’Argentina manifesta chiaramente una profonda disgregazione sociale, conseguenza di una decadenza morale e culturale aggravatasi, come noto, negli ultimi anni, è assai urgente e necessario questo risveglio spirituale e morale a cui ci ha invitato Papa Benedetto XVI con una esortazione, tra l’altro, alla quale abbiamo prestato poca attenzione.

L’Argentina potrà coprire questa crepa spirituale interna solo recuperando e rivendicando i valori cristiani che hanno forgiato la sua matrice culturale e la sua identità nazionale. È drammaticamente evidente la necessità di invertire questa crisi morale e l’anomia sociale imperante, per recuperare la Repubblica a partire dalla sua stessa essenza, dai fondamenti, dalle radici morali, spirituali e culturali che hanno dato origine alla nostra Nazione.

Abel Posse diceva bene, qualche anno fa, che la differenza fondamentale tra questa Argentina e quell’altra Argentina del I Centenario, è essenzialmente spirituale. Nella prima vi era uno slancio patriottico e un senso eroico di fondazione della Patria, oggi assistiamo a un popolo sconsiderato,  dominato, incapace di amarsi e dimentico di chi desidera essere[2].

Qualche tempo dopo, in una Nota egli affermò che l’Argentina è oggi un “(…) Paese molle, senza orgoglio, triste, teso, aggressivo, senza un copione di grandezza, con un milione e mezzo di giovani alla deriva, di fronte all’imbecillimento della danza, alla tentazione al delitto o al suicidio (…) Un Paese senza Stato e senza una leadership di successo non è un Paese trasgressivo, è un Paese stupido (…) La diseducazione antipatriottica e antinazionale ha raggiunto negli ultimi anni il suo obiettivo anarchico (. ..) Siamo in una pericolosa terra di nessuno (…) quindi fare a meno del nostro passato ci sembra quasi un futuro utopico” [3]. Ha anche detto: “Devi pensare in grande (…) Pensa a La Gran Argentina di Lugón. È tempo di fare appello a coraggio e patriottismo, come proposto dalla generazione degli anni 80. Si tratta di trasformare la fine della notte in un altra fase di luce. Il Paese è unito nella sua voglia di vivere e nella passione di essere e fare”[4].

In questa linea di riflessione, tra la frustrazione e la speranza di tornare ad essere una grande nazione, siamo spinti a riflettere brevemente su due idee o concetti che, comprendiamo, dovrebbero essere recuperati e infusi nuovamente nella famiglia e nella scuola, se si tratta di sanare la crepa spirituale di cui abbiamo parlato.

La virtù del patriottismo

Patriottismo, parola dimenticata quando non ridicolizzata nell’Argentina di oggi. Il patriottismo appartiene alla virtù della giustizia ed è una forma della virtù della misericordia, infatti, l’amore per la famiglia e la patria è proprio dell’uomo, così come l’amore soprannaturale per la Chiesa.

Patriottismo significa gratitudine, abnegazione, servizio e dedizione al bene comune, fedeltà alla tradizione e ai valori che hanno plasmato l’identità nazionale. Papa Leone XIII disse: «Ora, pertanto, se siamo obbligati per legge di natura ad amare e difendere particolarmente quella città nella quale siamo nati e cresciuti, fino al punto che un buon cittadino non può dubitare di dover dare anche la vita per la patria (…) D’altra parte, se si vuole giudicare rettamente, l’amore soprannaturale per la Chiesa e l’amore naturale per la patria sono entrambi figli della stessa sempiterna fonte, poiché hanno come causa e autore Dio stesso, dal che consegue che un dovere non può essere in contraddizione con l’altro»[5].

C’è stata un’Argentina, in cui chi scrive questa nota ha potuto vivere, dove gli insegnanti (senza volere denigrare la figura degli educatori) erano predicatori della dignità e della libertà dell’uomo, dell’amore per la Patria e per i suoi simboli; dove studenti e soldati giuravano solennemente su una Bandiera, rispettata e custodita da tutta la popolazione; c’è stata un’Argentina dove si cantava l’inno nazionale con emozione patriottica, nelle scuole, nelle caserme, nelle università e in tutte le manifestazioni pubbliche, in cui si celebravano le feste nazionali con parate civico-militari, un’Argentina in cui la Chiesa era presente in tutti gli atti civici , nei quartieri e nella vita di tutti i giorni. C’è stata un’Argentina in cui, secondo Julián Marías, c’era un entusiasmo per la Patria[6].

E questo entusiasmo per la Patria presuppone, tra l’altro, di conoscere e di inserirsi nella sua vera storia (non nel copione ideologizzato ampiamente diffuso e insegnato oggi nelle scuole), perché da quel passato storico – dice Julián Marías – riceviamo l’energia che ci spinge avanti, nel futuro. Per questo diventa più che mai necessario volgere lo sguardo verso i veri patrioti, imitare il loro esempio, la loro autenticità e testimonianza di vita, il loro coraggio, la loro abnegazione e il loro amore per la Patria.

A riprova di ciò, basti ricordare le parole che Don Martín Miguel de Güemes, esponente dell’epopea di Salta e personaggio fondamentale nell’impresa storica della nostra indipendenza, rivolse in una lettera all’amico Manuel Belgrano: “Le mie preoccupazioni e la mia insonnia – scriveva – non hanno altro motivo che il bene comune e con giudizio non presto attenzione a tutti quei malfattori che cercano di dividerci. Quindi, lavoriamo sodo e con tenacia, perché se le generazioni presenti ci sono ingrate, le future venereranno la nostra memoria, che è la ricompensa che i patrioti devono aspettarsi”.

Il nobile spirito di abnegazione manifestato in quelle parole contrasta con l’Argentina di oggi sprofondata in una malattia morale e sociale senza precedenti, che stravolge la propria storia e dimentica i suoi veri eroi, così divisa da meschini interessi settoriali e individuali da aver smarrito la strada … e la sua vocazione alla grandezza in cui parlare di patriottismo, come dicevamo, è addirittura ridicolo.

Consapevolezza dei doveri sociali

All’assenza di patriottismo si accompagna un altro dei grandi deficit dell’Argentina di oggi, cioè la mancanza di consapevolezza dei doveri sociali e la conseguente assenza di un impegno comunitario che garantisca, in ogni momento, la coesione sociale e un progetto di vita comune. E queste carenze non sono sorte per caso. Infatti, la pedagogia che da tempo si è installata nelle nostre scuole, tipica della cultura e del mondo postmoderno, è una pedagogia fondata sui diritti e non sui doveri: si insiste sui “diritti del bambino”, ma gli educatori – in generale – non avvertono né insegnano che non c’è diritto senza previo obbligo, che nessuno ha diritti se prima non è obbligato a un fine.

Questa pedagogia e cultura dei diritti è coerente con una morale senza compromessi e senza valori permanenti, il cui prodotto, tanto favorito dai mass media, arriva all’assurdo di proporre un modello di uomini e donne con “pieni diritti” fino al punto di poter cambiare anche il proprio sesso (ideologia del genere), deridendo Dio e la natura da Lui creata.

È in virtù di questa sotto-cultura e di questa errata pedagogia educativa che oggi non è diffusa la consapevolezza che ogni uomo nasce con un debito, che siamo tutti debitori dal primo attimo della nostra esistenza. Siamo debitori, prima di tutto, verso Dio, perché Egli ci ha dato gratuitamente la possibilità di essere ed è Lui che ci sostiene nell’essere, ed essere debitori verso Dio significa amare e rispettare la sua Legge sia nella vita privata che in quella pubblica. Siamo debitori poi anche verso la nostra famiglia, i nostri genitori, che ci hanno messo al mondo, si sono presi cura di noi e ci hanno fornito quei beni materiali e spirituali necessari alla nostra formazione personale. Ed infine siamo debitori verso la nostra Patria, perché in essa siamo nati e perché solo attraverso di essa nutriamo la nostra identità e la nostra volontà di essere nazione sovrana.

Nessuna nazione si è sviluppata come tale senza una piena consapevolezza dei doveri sociali da parte dei suoi cittadini; l’esperienza storica lo dimostra. Per quanto riguarda l’Argentina, la crisi morale, culturale ed educativa che cova da diversi decenni, aggravatasi negli ultimi anni, e che le ha fatto perdere tale consapevolezza, ha fatto prevalere la cultura della domanda (diritti individuali e settoriali) sulla cultura dello sforzo (doveri sociali).

E a proposito di cultura dello sforzo, diciamo anche che c’è stata un’Argentina in cui il sistema di premi e punizioni funzionava in tutti i campi dell’agire umano. Infatti, a differenza del lassismo e del permissivismo oggi imperanti sia nella scuola che nella famiglia, era chiaro che l’educazione, la formazione dei bambini e dei giovani comportava fatica, sacrificio e rassegnazione. Per questo venivano premiati gli studenti che adempivano ai propri obblighi e doveri nel modo migliore e con cura: non tutti erano portabandiera o scorta, i migliori erano iscritti all’albo d’onore.

Pertanto, potremo invertire la crisi attuale nella misura in cui comprenderemo che il sottosviluppo di una nazione è, fondamentalmente, il risultato di pensare solo in termini di diritti e interessi individuali e settoriali, evitando così l’obbligo di assumere sacrifici, doveri ed impegni per il bene comune nazionale e della stessa Patria.

In sintesi, se vogliamo recuperare la volontà di essere argentini, superare questa decadenza che tiene l’Argentina all’ultima soglia del sottosviluppo, e riscattare quel suggestivo progetto di vita comune che è la Nazione, dobbiamo constatare che la sfida principale è educativa e pertanto, spetta alla famiglia e alla scuola formare gli uomini al dovere, pienamente consapevoli di un comune destino e impegnati con la Patria.

Per concludere questa breve Nota, vorrei ricordare il ritratto dell’Argentina fatto da padre Castellani in Romance de la Pobre Patria (1944), che potremmo ripetere oggi con la stessa attualità e validità.[7]

Un paese che si diverte, un paese che non si rispetta,

Un paese senza capo, un paese senza poeta,

coraggioso e buono solo a giocare alla roulette.

Un paese che non sa esattamente dove va,

Un paese che sembra strabico quando guarda,

Un paese che ha acconsentito a essere nutrito di bugie.

Paese d’argento, il suo nome significa “La Plata”

 E il denaro è l’unica cosa che viene rispettata.

Povera patria in mano a bottegai e ciarlatani,

Possibile che tutti i loro capitani siano già morti?

Un país que se divierte, un país que no se respeta,

 Un país sin jefe, un país sin poeta,

corajudo y bravo para jugar a la ruleta.

Un país que no sabe bien adonde tira,

Un país que mira bizco cuando mira,

Un país que ha consentido que lo nutran de mentira.

Un país de plata, su nombre significa “La Plata”

Y la plata va siendo lo único que se acata.

Pobre Patria en manos de hombres tenderos y charlatanes,

¿Será posible que hayan muerto ya todos sus capitanes?

E nella risposta a questa domanda sta il nostro compito, un compito eminentemente culturale ed educativo, quello di formare nuovi capitani. È il momento di richiamare con coraggio e restituire all’Argentina la grandezza che ha avuto un tempo, è il momento, come ci ha detto Papa Benedetto XVI, di forgiare una rinascita spirituale e morale dell’intera società, a partire da un’organizzazione patriottica ed evangelizzatrice fondata sui valori cristiani che hanno plasmato la storia, l’identità e la cultura della nostra Nazione.

Daniel Passaniti

[Traduzione dallo spagnolo di Benedetta Cortese]


[1] Benedicto XVI: a los Obispos argentinos en su visita “ad límina”, abril 2009.

[2] Abel Posse: Argentina, el gran viraje. Emece Editores SA, Buenos Aires 2000.

[3] Abel Posse, La Nación 11-09-2008.

[4] Abel Posse, La Nación 28-01-2014.

[5] Papa Leone XIII: Encíclica Sapientiæ cristianae, 10-01-1890.

[6] Julián Marías, Breve tratado de la ilusión. Editorial Alianza, Madrid 1990.

[7] Leonardo Castellani: Martita Ofelia y otros cuentos de fantasmas, Ediciones Dictio, Buenos Aires 1977.

image_pdfSalvare in PDF
Daniel Passaniti
+ posts

Membro del Collegio degli Autori