Filosofia del diritto pubblico – contributi giusnaturalistici (ed. Jovene, Napoli 2022), è il titolo di un volume prefato e curato dal prof. Giovanni Turco, il quale, dopo un’introduzione meritevole già in sé medesima di studio e somma considerazione, presenta cinque interventi di Francisco Elias de Tejada, giusnaturalista ispanico del ‘900, sui fondamenti della filosofia del diritto, la quale in ultima istanza, non può non fare agio su una concezione giuridica radicata nella natura stessa delle cose, piuttosto che basata sugli astratti ideologismi della modernità. Effettivamente il volume in questione risulta prepotentemente “attuale”, non solo per la sua ineliminabile validità intrinseca, ma anche perché costituisce un testo fondamentale per orientarsi nelle complesse questioni giuridico-politiche dei nostri giorni.

Il filo conduttore dell’opera è il diritto naturale di cui viene, pagina dopo pagina, indicata l’essenza, tracciata la storia e denunciate le contraffazioni groziane, hobbesiane, liberali. Per Tejada “senza di esso [diritto naturale] non è possibile la civiltà cattolica, né lo zelo missionario, né eroismo crociato; non è possibile la libertà teologica, e in assenza di questa non c’è libertà politica. Neppure è possibile autorità giusta, perché l’autorità viene da Dio attraverso il conformarsi alla legge naturale dettata da Dio stesso. Senza il diritto naturale cattolico non c’è altro che violenza politica, amarezza teologica, umiliazioni indegne, soggettivismi assurdi, collettivismi degradanti, rivoluzioni e tirannidi”.  É lo stesso prof. Turco, nella sua introduzione, a tratteggiare le conseguenze che l’espulsione di un criterio ordinatore – che trascenda gli ordinamenti positivi – inevitabilmente ha sul diritto, sulla politica e sulla società. Laddove il giudizio umano, slegato dalla retta ed autentica ragione ed anzi ipotecato dal razionalismo moderno, è criterio di ogni cosa, e nulla invece vi è di intrinseco alla natura stessa delle cose, di divinamente ordinato, di ragionevolmente oggettivo, le decisioni seguiranno criteri legati alla effettività ed alla volontà di chi detiene gli strumenti di coercizione o di persuasione, senza alcun interesse per la giustizia.

Questo tema ci conduce ad uno dei punti essenziali trattati nel volume: la sostanziale differenza tra legalità e giuridicità. La modernità, pervasa di positivismo giuridico, ha sovrapposto i due piani sino a rendere quasi impossibile una distinzione intellettualmente fondata. Quante volte, in riferimento agli accadimenti degli ultimissimi anni, taluni hanno addotto, a giustificazione delle loro azioni, una necessaria quanto inevitabile e dovuta obbedienza assoluta al quadro normativo? Una arrendevolezza ed una deresponsabilizzazione del singolo, rispetto ad ordinamenti oggettivamente iniqui, non è legata soltanto ad una comprensibile debolezza di spirito, ma rinvia ad errori filosofico-giuridici che hanno le loro radici in Lutero, Hobbes, Spinoza, Kant. Con ciò, confermando la massima del conte Joseph de Maistre, per cui “le false opinioni somigliano alle monete false: coniate da qualche malvivente e poi spese da persone oneste, che perpetuano il crimine senza saperlo”.  L’errore in questione è, per l’appunto, la sovrapposizione tra giuridicità e legalità, che trasferisce, di fatto e di principio, la definizione del bene e del male, dalla natura delle cose all’arbitrio del legislatore, capovolgendo la sentenza dell’Aquinate per cui “una norma ha vigore di legge nella misura in cui è giusta. Ora, tra le cose umane un fatto si denomina giusto quando è secondo la regola della ragione. Ma la prima regola della ragione è la legge naturale.” 

Si coglie, dunque, l’irrazionalità di un sistema – quello puramente positivistico – che si pretende razionale, ma che in realtà è razionalista, in quanto affida la definizione del bene comune da conseguire a ciò che il prof. Turco ben indica come “nichilismo del potere”. Tuttavia la modernità non manca di offrire alternative solo apparenti a chi si avvede dei suoi errori. Così, in chi coglie le falle del positivismo giuridico e le sue nefaste conseguenze in termini di illimitatezza del potere che presume di autofondarsi, viene proposto un diritto naturale, epurato dal suo autentico principio ordinatore. Tale tentativo viene apostrofato da Tejada come “scimmiesca imitazione del diritto naturale cattolico”. Il filosofo del diritto passa poi in rassegna e analizza i più importanti, quanto fallimentari, tentativi storici di sistematizzazione del diritto naturale, privato però delle sue basi metafisiche, fino a quelli novecenteschi più recenti. Contestualmente vengono trattati temi di grande rilievo per la considerazione dell’ordine giuridico-politico: il principio di sovranità che soggiace alla concezione moderna dello Stato; lo Stato di diritto; il giusnaturalismo della Christianitas minor sopravvissuta nelle Spagne in seguito alla lacerazione protestante, con particolare riferimento all’esperienza del Regno del Cile; il realismo metafisico; il concetto di bene comune.

Nonostante il titolo e il tema trattato possano apparire appannaggio di una ristretta cerchia di esperti, dal testo, in fondo, esce smentita la vulgata per la quale il diritto sarebbe un ambito eminentemente tecnico, evidenziandone viceversa l’inscindibile connessione con la giustizia, l’etica e la razionalità. Se qualcuno afferma che non è ragionevole disinteressarsi della politica, poiché in ogni caso la politica si interesserà di noi, ciò resta valido ancor più per il diritto, specialmente in un tornante epocale, come quello odierno, caratterizzato da una iper-legiferazione che segna in radice gli ordinamenti giuridico-politici moderni (statali o sovra-statali, che siano).
Le questioni affrontate interessano particolarmente la concezione cattolica della vita civile, giacché una retta conoscenza del diritto naturale è essenziale per non incappare in errori argomentativi e applicativi, al riguardo. Sicché talvolta, può accadere di rilevare la difesa di tesi valide con argomentazioni inconsistenti, oppure viceversa si può verificare la formulazione di conclusioni fallaci pur a partire da criteri (astrattamente) validi. Il bene, nel campo del diritto pubblico, non può che trovare argomenti in una retta dottrina filosofico-giuridica, e non invocando scorciatoie strategiche o mali minori.

Manuel Berardinucci

Su Francisco Elías de Tejada nel nostro sito si può leggere:

G. Turco, L’Europa e la sua identità. Quando sono cominciate ad andare male le cose?

S. Brachetta, Le radici della modernità secondo Elias de Tejada.

A. Cannarozzo, Intervista a Giovanni Turco. Gli errori della modernità anticipati da Elisa de Tejada.

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Manuel Berardinucci