“La Legge” di Marco Ferraresi

Estratto dall’ultimo numero del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”

 

In occasione della Campagna di rinnovo degli Abbonamenti per l’annata 2022 al nostro “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” pubblichiamo in via straordinaria l’articolo del Prof. Marco Ferraresi pubblicato nel fascicolo 4 del 2021 dal titolo generale “La politica in 10 parole chiave”. La parola assegnata al prof. Ferraresi è la voce LEGGE. Ricordiamo che fino al 30 gennaio 2022 c’è una Finestra Sconto per fare l’abbonamento a Euro 25 anziché Euro 30. Vi invitiamo ad abbonarvi scrivendo ad abbonamenti.ossvanthuan@gmail.com e pagando tramite la nostra pagina dei pagamenti.

 

L

Voce “Legge”

 

Marco Ferraresi

Professore associato del Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Pavia

Consigliere dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani

 

 

Legge: una parola, molti significati.

Dopo “amore”, è probabilmente “legge” tra le parole il cui significato è più equivocato a partire dall’età moderna (non a caso, perché “pieno compimento della legge è l’amore”: Rm 13,10). Quantomeno, di solito abbiamo di essa una comprensione parziale, limitata ad alcune soltanto delle accezioni possibili. Perfino tra i giuristi, ciò che il termine più immediatamente evoca sono concetti quali comando o precetto (intimato a pena di una sanzione), atto formale (oggetto di un potere promanante da un sovrano o un’autorità pubblica), norma che vincola l’agire umano. La legge presuppone cioè l’esistenza di una volontà superiore, incarnata da un ente pubblico in posizione di supremazia rispetto ad ogni altra persona fisica e giuridica, e dotata del potere di creare le regole che si impongono ai consociati, di conformarne i comportamenti e di esigerne l’osservanza, a pena dell’inflizione di sanzioni di carattere patrimoniale o personale (come la privazione della libertà). Non di rado, fine del legislatore è pure di ottenere l’adesione, non solo della volontà dei cives, ma anche dell’intelletto, ossia di plasmarne la mentalità in conformità alla mens di chi ha dettato la regola.

Questi significati di “legge” sono bene espressi in alcuni motti anche popolari: “dura lex, sed lex”, a dire di come la legge tenda ad imporsi nonostante la sua gravosità (e, talvolta, la sua ingiustizia); “ci vorrebbe una legge!”, a mostrare il senso di incertezza e impotenza nel governo delle relazioni umane, tale da richiedere un intervento superiore risolutore di un problema; “lo dice la legge”, magari per supplire alla difficoltà di argomentare razionalmente la plausibilità di una tesi, invocando a proprio favore l’autorevole giudizio già espresso nella norma dal potere legislativo.

Il grappolo di accezioni cui si è ora fatto riferimento denota, per l’appunto, la percezione, non solo parziale, ma talora perfino fuorviante del lemma: il che esprime la crisi di significato della parola. Beninteso, non è solo questione di generale intellegibilità del concetto: infatti, anche sul piano delle fonti del diritto, non è più così chiaro quale sia il posto della legge. Sebbene questa, nelle democrazie costituzionali, sia l’atto essenzialmente deliberato dall’organo rappresentativo della volontà popolare, il potere normativo è sempre più esercitato al di fuori del Parlamento (ad es., da poteri sovranazionali, dagli organi del potere esecutivo e, impropriamente, persino da quelli giurisdizionali) mediante provvedimenti variamente denominati (regolamenti, direttive, decreti legge, decreti legislativi, d.p.c.m., ecc.).

La legge divina.

La Dottrina sociale della Chiesa – qui debitrice particolarmente del pensiero di san Tommaso d’Aquino – ci presenta più declinazioni, tra loro armoniche, di un unico, generale concetto di legge, intesa come “ordinatio rationis ad bonum commune”, che potrebbe tradursi come “disposizione della ragione al bene comune”. Una definizione che, ictu oculi, appare lontana da quelle oggi più invalse, prima richiamate. L’accento è primariamente, infatti, non su qualcosa di proveniente dall’esterno, ma che involge l’interiorità umana mediante appunto una sua “disposizione” (si potrebbe dire pure “orientamento”); non anzitutto su un atto deliberativo della volontà, ma sulla ragione e pertanto, in definitiva, sulla previa comprensione di ciò che è vero; non con riguardo al perseguimento di un qualsiasi obiettivo, anche capriccioso, di chi comanda, ma per il raggiungimento del bene vero (dunque, oggettivo) per la società.

Prima di tornare su questo plesso concettuale, cruciale per la comprensione della “legge”, si può ricordare come il Magistero ecclesiastico tradizionalmente individui, come accennato, diversi ambiti semantici. Questi si implicano a vicenda, anche secondo una struttura gerarchica.

Si distingue anzitutto, a livello apicale, la lex aeterna: la legge eterna è la disposizione stessa di Dio a riguardo proprio e all’esterno di sé, nelle realtà create. La legge eterna promana dall’Essere supremo, la cui volontà in ultima istanza resta misteriosa, perché propria di un soggetto infinito, che supera ontologicamente ogni creatura. La legge eterna, la volontà ordinatrice e regolatrice di Dio, è, in definitiva, Dio stesso.

Sebbene la lex aeterna non sia mai del tutto e compiutamente accessibile, Dio non ha mancato di rivelare e manifestare la propria identità e volontà, in diversi tempi e modi. Vi è così una legge divina (sempre riconducibile, dunque, direttamente a Dio stesso) detta “positiva”, perché posta e comunicata dal Signore dell’universo e resa manifesta nell’Antico e Nuovo Testamento. Nella Sacra Scrittura, come pure nella Sacra Tradizione della Chiesa, Dio svela la propria natura e il senso ultimo delle cose e promulga i propri comandi, affinché siano conosciuti, accolti e osservati da tutti gli uomini. In tal modo, la legge divina, che è per sua natura eterna, diviene conoscibile nel tempo, nella storia degli uomini, affinché guidi la storia medesima, determinando le condizioni della salvezza e della retta relazione tra le persone. Certo, questa legge è dono e, insieme, implica responsabilità: la sua diffusione dipende anche dall’impegno apostolico dei fedeli, cui è rivolto il comando di proclamare la parola di Dio ad ogni creatura. È legge divina positiva, per citare solo qualche esempio contenutistico, quella che pone il primato petrino e la costituzione gerarchica della Chiesa; che disciplina essenzialmente i Sacramenti; che detta le disposizioni fondamentali dell’agire morale e della vita sociale (come il Decalogo).

La legge naturale.

Vi è poi una legge detta “naturale”. La definizione più celebre è ancora dell’Aquinate: essa è “partecipazione alla legge eterna nella creatura razionale”. In particolare, per il medesimo autore, la legge naturale “altro non è che la luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce o questa legge Dio l’ha donata alla creazione”. E proprio per questo si definisce “naturale”. Poiché inscritta nella creazione, e in particolare nel cuore dell’uomo, essa è oggettiva, immutabile e universale. In quanto promana da Dio, la legge naturale non può che essere coerente con quella divina e coincide in parte con essa nei contenuti: il Decalogo, ad esempio, nel dettare il comandamento di non uccidere esprime, oltre che una norma promulgata direttamente da Dio e comunicata nella Sacra Scrittura, un’esigenza di diritto naturale infusa nell’essere umano. Piuttosto, la legge naturale si distingue dalla divina per il fatto di offrirsi alla conoscenza di ogni essere umano, a prescindere dall’adesione confessionale. Mentre i doveri e i diritti degli uomini stabiliti dalla legge divina positiva, per sé, si rivolgono a coloro cui sia giunto l’annuncio della Rivelazione cristiana, i doveri e diritti naturali concernono anche le persone non cristiane, che non possono ritenersene escluse o eccettuate. Tuttavia, come ricorda il Concilio Vaticano I nella costituzione dogmatica Dei Filius, con il peccato originale può oscurarsi la conoscenza delle verità naturali ed è indebolita la capacità umana di conformarvisi. Per questo, solo con l’ausilio della Grazia divina, mediante la Rivelazione e la pratica sacramentale, la legge naturale può essere conosciuta da tutti e senza difficoltà, con ferma certezza e senza mescolanza di errori, ed essere tradotta costantemente nella prassi. Ciò richiede, da un lato, che i contenuti della legge naturale siano chiarificati e confermati dal Magistero; dall’altro, che i pastori e anche i fedeli laici ne promuovano la conoscenza e l’applicazione; dall’altro ancora, che anche chi non appartiene alla confessione cristiana-cattolica assecondi gli immancabili impulsi che, comunque, la Grazia divina offre alla coscienza umana attraverso il lume della ragione (per aprirla così anche alla Rivelazione).

Così, ancora a titolo meramente esemplificativo, è la legge naturale che proibisce e condanna ogni attacco ingiusto alla vita umana (come l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione artificiale); che legittima esclusivamente il matrimonio indissolubile monogamico tra uomo e donna, nell’apertura procreativa; che impone alle autorità pubblica di condannare (o almeno di non favorire) l’errore e di promuovere la conoscenza del vero e del buono. Il misconoscimento della legge naturale, oltre a costituire un’offesa al Creatore che la pone, mina nei suoi fondamenti la giustizia nei rapporti tra gli uomini e, così, fomenta il disordine nel consorzio sociale.

La legge (umana) positiva.

Come si può notare, è solo a questo punto – quantomeno, in una trattazione dottrinale – che occorre domandarsi quale sia il ruolo della legge umana positiva, dunque delle regole della convivenza civile promananti da un’autorità umana, sia questa di origine ereditaria, aristocratica o democratica-elettiva. Infatti, da un lato, il potere politico-legislativo è necessario per la cura dell’ordine e della giustizia nel consorzio sociale. Dall’altro, esso trae in ultima istanza la propria legittimità dal volere divino, che, appunto, esige la presenza di governanti a presidio del bene comune. Tra i passi della Sacra Scrittura in proposito, basti ricordare il monito di Gesù a Pilato: “Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto” (Gv 19,11); e l’affermazione paolina: “raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio” (1Tm 2,1-2). Così, alla legge umana positiva è delegato il compito di orientare l’uomo al corretto rapporto con il suo divino Signore, con gli altri esseri umani, con le cose create. In breve, di attuare la giustizia verso Dio e tra gli esseri viventi. In questo modo, la legge pone le condizioni perché ciascuno, singolarmente e nella vita associata, persegua la propria perfezione e contribuisca al bene comune.

La derivazione divina legittima l’autorità umana e, nel contempo, la limita, perché la subordina alla legge divina e a quella naturale: per il principio di non contraddizione, infatti, Dio non potrebbe volere un legislatore che si ponga in contrasto con il Legislatore supremo. Anche il Sommo Pontefice, quale successore dell’apostolo Pietro e capo della Chiesa universale, è giustamente appellato dalla tradizione quale vicario di Cristo: tanto nella sua veste di supremo soggetto di Magistero che di legislatore della Chiesa, il Papa esercita legittimamente il proprio munus se coerente con le norme di origine divina.

Del pari, la legge umana positiva, se per sé richiede l’obbedienza dei cives e giustifica le sanzioni per la violazione, perde la capacità di obbligare ove si ponga in antitesi con le disposizioni contenute nella Rivelazione e della legge naturale. Chiara è l’affermazione del Dottore angelico nella Summa theologiae: “La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza”. E poiché, come ricordano gli Atti degli Apostoli, “bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29), dinanzi a una disposizione umana evidentemente ingiusta non solo è lecito disobbedire, ma è obbligatorio, al fine di non peccare contro la Legge superiore.

In periodi, come il presente, in cui al posto del riconoscimento dei doveri dell’uomo nei confronti di Dio si è fatto progressivamente spazio a presunti diritti dell’uomo che offendono il Creatore, ai cattolici e alle persona di buona volontà è crescentemente richiesta una testimonianza di fedeltà al Decalogo che non di rado assurge al grado eroico. Essa costa talora il dileggio, talaltra la compromissione delle possibilità di lavoro, talaltra ancora il sacrificio della vita.

Dalla concezione cattolica della legge a quella moderna.

Nell’impianto della Dottrina sociale della Chiesa, la legge – nelle diverse accezioni viste – si struttura dunque in modo perlopiù antitetico alla concezione moderna. Nel costante insegnamento ecclesiastico, le norme fondamentali dell’agire individuale e associato sono poste dal divino Legislatore, che è anche Giudice supremo della storia. Simili disposizioni esprimono l’amore di Dio per l’uomo, affinché questo conformi tutta la propria esistenza al modello del Figlio di Dio fatto uomo, Gesù Cristo. Ancor prima di costituire dei precetti da praticare, la legge divina e naturale rivela la verità dell’essere umano. Prima di vincolare la volontà, apre la ragione all’intelligenza di ciò che è giusto e buono. Prima e più che atto esterno all’uomo, inerisce alla sua natura di creatura a immagine e somiglianza di Dio, e perciò stimola la persona umana, dal suo interno, a pensare e a comportarsi secondo la propria vera identità. Certo, le ferite del peccato originale spiegano la lotta che spesso l’uomo vive per uniformarsi ai decreti divini, vincendo le pulsioni contrarie. Tuttavia, egli può riconoscere nei precetti del Creatore la sapienza che governa l’universo, che permea e attrae a sé la creatura: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: «Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?». Non è di là dal mare, perché tu dica: «Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?». Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica” (Dt 30, 11-14).

La modernità, viceversa, anche quando non fa professione esplicita di ateismo, ritiene inattingibile la conoscenza di Dio e della sua volontà. Separando l’uomo dal Signore della storia, lo lascia non di rado in balìa di autorità che avocano a sé la decisione di ciò che sia giusto e ingiusto. In tal modo, il potere umano deve spesso ricorrere alla menzogna o alla violenza, con ciò però delegittimando se stesso e ponendo le basi della propria sovversione.

Viceversa, nell’accezione cattolica, non vi è opposizione tra autorità e libertà: quella garantisce questa, affinché possa compiere il bene, e la seconda richiede la prima, per non smarrirsi. Si comprende allora perché la legge sia “ordinatio rationis ad bonum commune”: essa è lo strumento con cui Dio, direttamente o attraverso le cause seconde (come i titolari di poteri pubblici), orienta l’uomo a comprendere le esigenze della giustizia, a perseguire la propria perfezione, a porsi al servizio del bene di tutti e di ciascuno. Per richiamare ancora concetti tomistici, la legge, uscita dalla bocca di Dio (exitus), incontra l’uomo per ricondurlo a Lui (reditus).

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Marco Ferraresi
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