Divise di lavoro corrispondenti al genere di elezione della persona e la possibilità di utilizzare spogliatoio e servizi igienici neutri rispetto al genere, se presenti, o corrispondenti all’identità di genere del lavoratore”.

Firmato a metà luglio, quando ormai la maggior parte della popolazione italiana – e in modo particolare quella che ha a che fare con il settore dell’Istruzione – era già con la testa e il cuore rivolti alle sospirate vacanze estive, il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto istruzione, università e ricerca 2019/21 (contratto che era ancora “vacante” ed era quindi necessario completare), non ha goduto di particolari attenzioni. Eppure, tra le numerose questioni in esso contenute, presentate nel tipico e non certo coinvolgente linguaggio “sindacalese” (che il più delle volte serve unicamente a far passare per grandi conquiste quelle che sono solo modeste o addirittura ridicole concessioni ai lavoratori della scuola), spiccano questa volta alcune allarmanti novità. Ormai a ridosso dell’avvio del nuovo anno scolastico, concluse le vacanze e tornati sul campo di battaglia, è davvero il caso di segnalarle.

Ci riferiamo alle misure che prevedono bagni neutri per gli insegnanti e il personale ATA transgender, l’identità alias per le credenziali della posta elettronica, sulle tabelle del turno degli orari esposte negli spazi comuni e sul cartellino di riconoscimento. Nel contratto c’è tutto, o comunque molto, di ciò che il pianeta Lgbtq+ si potrebbe aspettare, e che dopo l’affossamento del ddl Zan sembrava rimandato a data da destinarsi. Siamo, per la precisione, al punto 21 del testo, denominato appunto “Transizione di genere”, che recita: “Al fine di tutelare il benessere psicofisico di lavoratori transgender, di creare un ambiente di lavoro inclusivo, ispirato al valore fondante della pari dignità umana delle persone, eliminando situazioni di disagio per coloro che intendono modificare nome e identità nell’espressione della propria autodeterminazione di genere, le amministrazioni riconoscono un’identità alias al dipendente che ha intrapreso il percorso di transizione di genere di cui alla Legge 164/1982 e ne faccia richiesta tramite la sottoscrizione di un accordo di riservatezza confidenziale”. Ed ecco, a seguire, alcuni esempi di applicazione della norma: “Divise di lavoro corrispondenti al genere di elezione della persona e la possibilità di utilizzare spogliatoio e servizi igienici neutri rispetto al genere, se presenti, o corrispondenti all’identità di genere del lavoratore”.

Gli unici documenti che non si conformeranno all’identità alias sono quelli a “rilevanza strettamente personale” e non pubblici, ovvero la busta paga, la matricola, i provvedimenti disciplinari o la sottoscrizione di atti e provvedimenti da parte del lavoratore interessato.

Possiamo affermare, in definitiva, che ci troviamo di fronte a un colpo di mano, per certi versi inaspettato (poiché tutto questo non è certo partito da istanze della base), che realizza un pieno accoglimento della maggior parte delle richieste del mondo Lgbtq+, quasi fosse una componente rilevante e significativa all’interno delle istituzioni scolastiche e non una costruzione tutta ideologica che nulla dovrebbe avere a che fare con luoghi di educazione e formazione delle nuove generazioni quali sono (o dovrebbero essere) le scuole.

Le misure, per ora, riguardano solamente il personale e non ancora gli studenti, ma rappresentano comunque delle inquietanti premesse per supporre, con ragionevole timore, che si tenterà di estenderle a tutti in un prossimo futuro. In ogni caso, non è pensabile che anche solo così non abbiano ricadute sull’intera comunità scolastica.

Il ministro Valditara, da parte sua, ha emesso un comunicato ufficiale in cui dice che “il contratto segna un importante passo avanti verso una sempre maggiore valorizzazione di tutto il personale della scuola, sia docenti sia Ata”, sottolineando il tema degli adeguamenti economici, ma passando sotto un imbarazzante silenzio la svolta arcobaleno, che un passo alla volta sta portando la scuola sotto i dettami dell’ideologia gender. È comprensibile che il ministro non abbia certo interesse a sbandierare questa novità, tanto più che era stata proprio la Lega (partito cui fa capo Valditara) nel maggio 2021, ad alzare le barricate contro la Regione Lazio che, in occasione della giornata internazionale contro l’omotransfobia, aveva stilato alcune regole valide per le scuole, tra cui il bagno/spogliatoio non connotato per genere, ora varato invece con il nuovo contratto…

Interpellato al riguardo, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha risposto che si tratta di un articolo “presente in tutti i contratti” del settore pubblico, un adeguamento resosi necessario e al quale, in sostanza, non si è potuto dire di no. Una di quelle norme, insomma, passate obtorto collo e, tra l’altro, non cancellabile in sede di verificadella compatibilità del contratto da parte del Mef.

In conclusione, chi afferma che il pericolo gender non esiste ed è solo una invenzione di alcune associazioni bigotte e oscurantiste, si trova di fronte a una nuova evidenza della propria malafede. La diffusione di questa devastante ideologia nella società e, in particolare dentro le scuole, là dove si formano le menti e i cuori delle nuove generazioni, insieme alla sistematica distruzione delle famiglie, fa parte di una tanto lucida quanto perversa strategia di dissoluzione del tessuto sociale e di sottomissione delle persone, che prive di ogni riferimento identitario (fino al punto di non sapere neanche più quale sia il proprio sesso) saranno sempre più in balia del potere dominante. Un potere al quale nemmeno i governi in carica, quand’anche teoricamente abbraccino posizioni diverse, riescono a opporsi. È davvero il tempo del grande Fratello, di orwelliana memoria, il tempo in cui –come scrisse Giovanni Guareschi “si può fare solo “ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà”. È questo il compito che ci attende.

Marco Lepore

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