In questi ultimi giorni è rimbalzata su diversi organi di stampa, specializzata e non, la vicenda relativa ad un gruppetto di studenti che aveva lanciato pallini contro un’insegnante, facendosi riprendere con lo smartphone così da poter far circolare sui social il video ritenuto “divertente”.  

Il consiglio di classe, riunitosi per lo scrutinio, aveva tuttavia attribuito ai ragazzi un voto di condotta non particolarmente “punitivo”, causando però il disappunto del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. Spinto, molto probabilmente, dall’onda emotiva suscitata e cavalcata dai mass media, dopo aver inviato una ispezione, il Ministro ha invitato il consiglio di classe a riconsiderare le decisioni prese. Questa la sua dichiarazione: “Con riguardo alla valutazione della condotta degli alunni coinvolti nel noto episodio accaduto all’Istituto Superiore Viola Marchesini di Rovigo, visti gli esiti della relazione degli ispettori e considerata la non corretta applicazione del DPR 122/2009 e del regolamento di istituto, ho avvertito l’esigenza di invitare la dirigente scolastica a riconvocare il consiglio di classe, al fine di riconsiderare in autotutela le decisioni prese”.

Così il Consiglio è tornato a riunirsi e ha abbassato i voti di condotta a un 7 e a tre 6.

Non vogliamo entrare nel merito della vicenda sul piano educativo e morale – temi su cui si è già ampiamente dibattuto – ma fare qualche considerazione su un aspetto che emerge ormai prepotentemente: il fallimento dell’autonomia scolastica. Non sappiamo quali considerazioni e motivazioni avessero prodotto i docenti nel primo scrutinio; sicuramente – sapendo bene per esperienza diretta quanto si può giungere a discutere in  un consiglio di classe e, in particolare, in uno scrutinio finale – gli insegnanti e la dirigente avranno valutato una molteplicità di aspetti relativi alla vicenda e alle persone coinvolte (non solo l’epifenomeno sensazionalistico da mass-media…) e preso una decisione ragionata. Giusta o sbagliata non spetta a noi dirlo, ma ragionata e responsabile sicuramente. Ed è proprio per l’aggettivo “responsabile” che diventa discutibile l’intervento del Ministro, che sebbene in modo indiretto, ha tuttavia esautorato, nella sua autonomia e responsabilità, un organo collegiale fondamentale della singola istituzione scolastica, costringendola garbatamente (ma pur sempre costringendola) a modificare quanto già formalmente deciso.

Questo episodio è in realtà uno dei numerosissimi terminali di un processo fallito che, iniziato al termine degli anni ’90 con la cosiddetta Legge Bassanini del 15 marzo 1997, n. 59, istituiva (fra le altre) l’autonomia scolastica: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento“. Salutata con entusiasmo, tale legge pareva ispirarsi al principio della sussidiarietà e, almeno inizialmente e tentativamente, provare ad applicarlo, allentando quel cappio di dirigismo centralistico che soffocava e paralizzava sotto un mare di burocrazia anche la vita delle scuole.

Dopo alcune timide e controverse aperture realizzate nei primi anni, tuttavia, è parso a tutti evidente che sotto il vestito della Legge 59 non c’era niente o quasi. L’autonomia di arruolamento del personale non è stata mai realizzata; quella di definizione del calendario scolastico è semplicemente passata dallo Stato alle Regioni dopo una brevissima parentesi di maggiore flessibilità per le istituzioni scolastiche, ben presto revocata; l’autonomia di indirizzi di studio e di scelte didattiche abortita anch’essa, poiché tutto deve essere comunque validato centralmente; di autonomia economica e finanziaria poi nemmeno parlarne. Fino al culmine di questi ultimi mesi, in cui, con il sostanziale obbligo, pena commissariamento, di digitalizzare aule e laboratori scolastici  il più possibile, utilizzando i fondi del Pnrr provenienti dall’Unione Europea, è stata introdotta una sorta di riforma nazionale della scuola non dichiarata, senza discussione parlamentare “Il Piano Scuola 4.0., una rivoluzione che i giuristi non possono ignorare”.

Il velo è ormai caduto e non ci si preoccupa nemmeno più di nasconderlo: l’autonomia è roba passata e la sussidiarietà non è più a tema; siamo entrati, anzi, in una fase di neocentralismo ancora peggiore, perché è evidente che non solo non è autonoma la scuola né alcun altro ente pubblico, ma in realtà non è autonomo nemmeno lo Stato italiano, obbligato – qualunque sia il Governo in carica – a eseguire quanto proposto/imposto da organismi sovranazionali, che dettano l’agenda ai singoli Paesi e impongono con metodi sottili ma oltremodo efficaci, attraverso i mass-media e i social, quello che può e deve essere comunicato, i valori che contano e quello che la popolazione deve pensare e credere, come nel caso anche dei voti di condotta…

L’autonomia di pensiero: è questo l’ultimo baluardo da abbattere per completare la realizzazione di un sistema totalitario moderno ed efficiente.

Marco Lepore

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