Nei giorni scorsi era nata una discussione a proposito di una dichiarazione del Presidente del Club Alpino Italiano (CAI) molto critica sul mantenimento delle croci sulle vette alpine. Il confronto si è subito concluso con le sue dimissioni. La questione delle croci sulle montagne non è tuttavia nuova. Già nel 2004 era emersa all’interno del CAI e allora Marco Martinolli pubblicò sulla rivista del CAI di Monfalcone (Gorizia) le ispirate riflessioni che pubblichiamo qui sotto. Questa pubblicazione vuole essere non solo una presa di posizione sulla recente querelle, ma soprattutto un ricordo di Marco Martinolli, giovane cattolico della Venezia Giulia, chiamato al Cielo in giovane età e che durante la sua vita ha seminato in tutti coloro che incontrava nei molteplici ambiti del suo impegno, uno sguardo di fede fortemente vissuto e un’ansia di vette e di cieli spirituali colmi di eternità. Ha fatto molto del bene, soprattutto spirituale, e ancora oggi molte persone da lui beneficate lo ricordano con religioso affetto, confidando che continui a fare del bene dal Cielo. Di recente a Trieste è stata fondata l’associazione “Marco Martinolli. Un Cavaliere antico”. L’immagine che pubblichiamo ritrae Marco mentre pianta una croce in alta montagna [Stefano Fontana].

*****

Sulle migliaia di cime che punteggiano il nostro Paese, dall’arco delle Giulie giù per la dorsale appenninica fino agli estremi rilievi dei monti Nebrodi, Peloritani e Madonie della Sicilia, la croce svetta nel punto più alto e segna quasi simbolicamente la fine della fatica, della sofferenza e l’inizio di una, se pur breve, esplosione di gioia.

Ricordo le bellissime croci dei monti della Val Gardena, scolpite da veri maestri dell’arte del legno con Cristi fortemente espressivi con date e memorie, che fanno parte della vicenda di quelle valli.

E poi mi sovviene la Croce del Gartnerkofel con la sua stilizzazione tutta austriaca e poi con il suo rilucere di buon mattino, in una lontananza che mi sembrò parlarmi di irraggiungibilità e quasi di presunzione, la Croce della Tofana di Rozes, croci che raccontano agli alpinisti, ma anche a chi contempla queste montagne, le grandi tragedie di inutili contrapposizioni umane durante la Prima guerra mondiale. Viste dall’alto, cioè dalle cime, le croci sembrano coprire il Bel Paese «dove l’ si suona» (Dante). Come sarebbe difficile a certi ammalati di amnesia salire le migliaia di cime e sradicare quelle croci. E anche se paradossalmente qualche arrabbiato iconoclasta riuscisse nel suo intento con l’aiuto di accette, seghe, bombe, vedremmo dopo qualche tempo quasi prodigiosamente ritornare su quelle cime le croci strappate. E’ molto semplice incrociare due pezzi di legno e tenerli uniti con un pezzo di corda. La vita spirituale di un popolo, anche quando perde la sua intensità e la coerenza con la sua storia, resta sempre nel profondo dell’anima.

E anche senza saperlo, senza capire tutte le implicazioni, le croci tornerebbero sulle cime dei monti, perché le cime dei monti non appartengono alle faziosità, alla volgarità e alle ipocrisie. A quelle altezze si muovono camosci, volteggiano aquile e anime inondate della bellezza e dunque della verità. Sulle cime dei monti non arriveranno mai lo squallore e l’ipocrisia semplicemente perché la durezza, la fatica, il sacrificio, l’amore che circola a quelle quote tendono ad abbracciarsi naturalmente a due legni incrociati che esprimono il cammino compiuto, che esaltano l’ascensione dell’anima e del cuore. Non si possono abbattere le croci dalle cime perché esse esprimono la verità dell’esistenza. Ogni itinerario umano inevitabilmente si deve incontrare con la croce. A chi dà fastidio la croce consiglio di salire il Monte Rosa (Punta Zumstein). Lassù troverà una statua della Vergine e capirà che, a quelle altezze, si è totalmente grati e felici da soffermarsi con animo diverso davanti a quei segnali del Divino. Più in basso alla radice delle nostre ascensioni, distrattamente siamo colpiti da gentili capitelli sempre ornati da fiori, di attenzioni che possono sembrarci quasi misteriose.

Questo è il nostro mondo, la nostra storia, la nostra civiltà e le nostre radici inestirpabili.

La Croce, dimenticavo, funge anche da parafulmine (Mangart, Gartnerkpfel) che ci salva, che ci ha salvato.

Marco Martinolli

Marzo 2005

(Pagine 18 e 19 del libretto edito dal CAI Sezione di Monfalcone).

Print Friendly, PDF & Email

La Redazione dell'Osservatorio