Parola semplice ma concetto complesso

Per la dottrina sociale della Chiesa, l’economia «non solo costituisce la base della cultura, ma è parte essenziale della cultura stessa, essendo uno dei settori della cooperazione sociale ordinati a realizzare i fini essenziali e vitali dell’umanità» [1]. Eppure, spesso il mondo cattolico considera l’economia come qualcosa di terreno, materialistico e profano; in modo simile esso tratta la proprietà privata o, peggio ancora, il capitale.

Ormai, la parola capitale è stata ridotta al suo significato strettamente economico, come patrimonio di beni materiali che possono avviare o sostenere o accrescere un’attività redditizia, sia essa imprenditoriale, commerciale o finanziaria. Per giunta, il capitale è stato abbassato al rango di mera cosa, da porre al servizio del lavoro inteso come sola attività umana valida e produttiva, come se i gestori di capitali non lavorassero né producessero quanto operai, contadini e allevatori.

Tuttavia, i papi avevano una visione più profonda. Secondo Pio XI, «il capitalismo è quell’ordinamento economico in cui generalmente si contribuisce all’attività produttiva, da alcuni con i capitali, da altri con il lavoro» [2]; secondo Pio XII, «il capitale e la proprietà devono essere strumenti della produzione a vantaggio della intera società e mezzi di sostegno e di difesa della libertà e della dignità della persona umana» [3]. Pertanto, Toniolo ne concludeva che il sistema capitalistico «denota uno stadio normale dell’economia dei popoli» [4].

Capitale e capitalismo sono parole apparentemente semplici ma esprimono concetti complessi che riguardano non solo l’avere ma anche l’essere. Infatti, «il capitalismo è insieme un fatto giuridico, un fatto storico, un fatto sociologico e un fatto spirituale» [5]; pertanto, questa parola indica un fenomeno il cui valore dipende dal significato in cui viene inteso e dal contesto storico nel quale si realizza. Ad esempio, abbiamo avuto prima il capitalismo di accumulazione, poi quello di consumo, poi quello finanziario e oggi perfino quello woke, mentre già si prospetta quello digitale-virtuale, ossia un paradossale capitalismo… senza capitali!

Il capitale in senso analogico

La parola capitale non è univoca ma ha una portata analogica che può essere applicata a più livelli e in campi molto diversi. Ad esempio, il capitale più fruttifero è quello umano: l’uomo “sfrutta” le proprie capacità per procurarsi beni di ogni tipo. Infatti, oltre ai capitali di tipo materiale, esistono anche capitali di tipo spirituale; anzi, paradossalmente, sono proprio questi a rendere possibili e fruttuosi quelli e a favorire maggiormente il progresso della società.

Tra i capitali spirituali, abbiamo quelli di tipo sociale, come relazioni, usanze e istituzioni; quelli di tipo culturale, come conoscenze filosofiche, scientifiche e tecniche; quelli di tipo morale, come virtù personali, familiari e civili; quelli di tipo religioso, il più prezioso dei quali è il famoso “depositum Fidei”, ossia il tesoro di verità e di leggi infallibilmente rivelato da Dio e fedelmente trasmesso dalla Santa Chiesa. D’altra parte, essendo Creatore e Provvidente, Dio è conservatore dell’ordine sia naturale che soprannaturale ed è anche il “capitalista” per eccellenza, sebbene usi i suoi beni e poteri per perfezionare e salvare le sue creature.

Questa dottrina nacque con la Scolastica medioevale, fu ripresa da quella controriformistica e poi sviluppata da illustri studiosi di dottrina sociale della Chiesa [6]. Ad esempio, il significato e il valore analogici del concetto di capitale furono illustrati nel 1905 non da un economista ma da un teologo, collaboratore di papi come Leone XIII e san Pio X: il gesuita francese mons. Henri Delassus. Nel secondo volume della sua opera più importante e attuale – quella dedicata a Il problema dell’ora presente – egli esortò a “ritornare alla verità economica” proprio partendo dalla portata analogica del concetto di capitale, inteso nel suo senso spirituale prima che materiale [7].

Il capitale frutto delle verità e virtù religiose

Così il Delassus elenca i fattori che alimentano la sana economia: «La ricchezza deriva dal lavoro. (…) Il lavoro produce in proporzione del capitale messogli a disposizione. (…) Il capitale riposa sulla virtù, perché è questa che gli ha dato origine, lo conserva e lo impiega utilmente. (…) Infine, la virtù riposa sulla fede» [8].

Spieghiamo meglio questa impostazione. Normalmente, per sopravvivere, un individuo deve provvedere al proprio futuro dotandosi di alcuni tipi di capitale, non solo in beni e denari ma anche in nozioni e relazioni. A questo scopo, egli deve innanzitutto lavorare e/o studiare, poi anche risparmiare nel loro uso e consumo. Se questo vale per un individuo, a maggior ragione vale per una famiglia o una impresa o una società che intenda durare nel tempo e svilupparsi nello spazio.

Stando così le cose, il problema economico rinvia a un problema spirituale. Infatti, per lavorare e risparmiare in modo da procurarsi, conservare e accrescere un qualche capitale, è necessario controllare e limitare i propri bisogni, istinti e desideri, anche quelli leciti, sia riducendoli allo stretto necessario, sia rinviandone l’esaudimento temporale. Per essere capaci di fare questi sacrifici, bisogna avere forza psicologica e morale sufficiente per resistere alle passioni disordinate che reclamano soddisfacimento e consumo immediati e dissipatori. Bisogna cioè che l’intelligenza illumini la volontà e questa domini la sensibilità e gl’istinti, non l’esatto rovescio che vediamo accadere nell’attuale società insensata, debole e perversa.

Insomma, per risparmiare, accumulare, conservare e accrescere un qualunque tipo di capitale, bisogna essere non solo volenterosi, laboriosi e studiosi, ma anche e soprattutto virtuosi, ossia essere capaci di praticare le virtù morali di forza, costanza, temperanza, pazienza, prudenza e previdenza.

Tuttavia, per praticare queste virtù non basta avere capacità solamente naturali, perché spesso esse sono indebolite o corrose o dissolte dalle passioni disordinate derivate dal Peccato Originale e alimentate dai peccati attuali e dall’ambiente sociale malsano. Questa malattia morale dev’essere guarita dalla terapia procurata da una medicina soprannaturale. Bisogna cioè che quelle capacità naturali siano sostenute dalle virtù soprannaturali, le quali normalmente si ottengono da Dio pregando, meditando e ricevendo i divini Sacramenti.

Pertanto, conclude il Delassus, «solo la speranza nei beni eterni è riuscita ad abituare gli uomini a fare continuamente alla loro natura – pigra da una parte, avida di godimenti dall’altra – questa doppia violenza: imporsi la fatica e non approfittarsi subito del frutto dello sforzo. (…) La virtù, che consiste nel lavorare molto e godere poco, può nascere, sussistere e perseverare solo là dove c’è sicurezza di un compenso infinito al sacrificio enorme che esige. Dunque, i beni del Cielo sono i veri agenti produttivi dei beni terreni» [9].

Il capitale come fattore di civiltà e progresso

Molti autori laicisti pretendono che il successo economico sia prodotto dall’egoismo individuale o sociale. Per contro, la storia almeno bimillenaria della società dimostra che solo le verità e le virtù insegnate e praticate dal Cristianesimo hanno permesso all’umanità di forgiare quella civiltà che ha donato alle successive generazioni numerosi benefici, vantaggi e comodità sconosciuti al passato [10]

Il progresso economico è stato facilitato dall’azione religiosa svolta prima da vescovi e sacerdoti, poi anche da monaci, frati e suore, impegnatisi a cristianizzare individui e famiglie, costumi e ambienti, popoli e istituzioni. Ad esempio, «l’attività monastica, basata sul lavoro e la parsimonia, è stata una prima forma di risparmio del capitale» [11]; le abbazie benedettine furono le prime industrie produttive che arricchirono i popoli europei. Il progresso civile e politico è avanzato nella misura in cui questa pedagogia religiosa ha educato i laici a costruire una società fondata non più sulla schiavitù e sulla oppressione, ma sulla collaborazione e solidarietà tra le classi.

Lungo i secoli, non solo lavorando, risparmiando e investendo, ma anche e soprattutto pregando, meditando e studiando, insomma impegnando le loro capacità fisiche e virtù morali, molte famiglie, corporazioni e società sono riuscite ad accumulare un patrimonio di conoscenze, valori, beni e istituzioni da trasmettere ai loro eredi. In questo modo, si sono formate prima quelle aristocrazie e poi quelle classi borghesi che hanno forgiato la migliore civiltà umana finora esistita.

La storia dimostra che l’economia capitalistica ebbe risultati fausti dove e quando i popoli furono animati dalle verità e dalle virtù cristiane, ma ebbe risultati infausti dove e quando il mondo ritornò dominato da errori e vizi pagani. La storia dimostra pure che le libertà politiche e sociali progredirono dove e quando furono sostenute dalla massima diffusione della proprietà e del capitale, ma regredirono dove e quando quei beni furono ostacolati o vietati [12].

Pertanto, i cattolici liberali s’illudono, quando sperano che un vago umanesimo post-cristiano, inquadrato in un sistema democratico e sostenuto da una economia animata da verità, virtù e capacità solo naturali, sia capace di salvare la società borghese dalla offensiva rivoluzionaria in corso [13]

Un concetto frainteso e maltrattato

Come sappiamo, la Rivoluzione gnostica è nemica di tutto ciò che ha identità, consistenza, spessore, peso, stabilità, durata; per essa, il male supremo è costituito da ogni tipo di risparmio, accumulazione ed eredità, sia materiale che spirituale (conoscenze, virtù, meriti, capacità e poteri), perché tutto ciò rende gli uomini diversi e diseguali tra loro, in una società armonica, stabile, sicura, libera e indipendente.

In particolare, il socialismo odia il concetto stesso di capitale privato e di conseguenza la proprietà capitalistica, perché essa “reifica” (ossia cristallizza) il lavoro altrui, impedisce libera circolazione e piena comunanza dei beni, genera disuguaglianza e quindi ingiustizia di classe, ostacola la dissoluzione della società nel perenne flusso evolutivo della indistinta Materia.

La politica socialista ha spesso tollerato il capitalismo pubblico, perché supponeva venisse utilizzato dal potere statale a vantaggio della collettività, ma ha sempre condannato e combattuto il capitalismo privato, specialmente quello “piccolo borghese”. Si racconta che Karl Marx, nel pronunciare le parole capitalismo e borghesia, lo faceva letteralmente sputando disprezzo per queste categorie, nonostante vi appartenessero suoi amici e finanziatori come Engels e Greeley.

Influenzato dalla propaganda socialista, anche il recente linguaggio ecclesiale è diventato allergico alle parole capitale e capitalismo, col pretesto del “primato dell’essere sull’avere”, della “destinazione universale dei beni” e dalla “opzione preferenziale per i poveri”. Di conseguenza, oggi molti cristiani pensano che il capitalismo sia una “struttura di peccato” da decostruire, perché prodotta da egoismo, avidità e avarizia di coloro che si arricchiscono approfittandosi dell’altrui bisogno, sfruttando il lavoro altrui e accumulando beni che spettano a tutti.

La perdita dei capitali spirituali

Nell’epoca contemporanea, molti capitali spirituali, accumulati per secoli dalle generazioni cristiane, prima sono stati sacrificati alla ricerca di sempre maggiori beni, piaceri e poteri materiali; poi sono stati dissipati da tendenze, vizî ed errori che hanno corroso e pervertito le virtù dei popoli, rendendoli incapaci di sacrificarsi, risparmiare, capitalizzare e investire in senso spirituale. Di conseguenza, oggi la società sta regredendo alla incertezza, insicurezza e miseria delle passate epoche pagane.

Com’è noto, i poteri globali oggi dominanti tentano di sedurre il popolo promettendogli una società futura in cui il lavoro produttivo sarà sostituito dall’ “ozio creativo”, lo sfruttamento della natura dalla “empatia con l’ecosistema” e la proprietà privata dei beni dalla “condivisione dei pubblici servizi”, per cui alla fine “non possiederemo nulla e quindi saremo felici”, come ha dichiarato il World Economic Forum di Davos.

Il sistema culturale vigente pretende che verità e virtù morali e religiose siano dannose alla civiltà, per cui sta passando dall’ostacolarle al vietarle. Per contro, dobbiamo ripetere la denuncia e l’esortazione espresse da Blanc de Saint-Bonnet alla fine del XIX secolo: «Ė un tradimento isolare la questione sociale ponendola fuori dal campo religioso; anzi, è necessario soprattutto far capire al grossolano uomo del nostro tempo che i suoi interessi in questo mondo dipendono dai suoi interessi nell’altro mondo» [14].

Oggi bisogna Insomma, la famosa “questione sociale” potrà essere risolta solo quando la pars valentior del residuo popolo cristiano, animata dalle forze della Grazia amministrate dalla Santa Chiesa, costringerà le autorità politiche e religiose rimaste a usare i loro poteri per facilitare la conoscenza e la pratica delle verità e virtù sociali, anche nel campo economico, in modo da assicurare il bene comune, anche quello spirituale, così facilitando l’ottenimento di quello soprannaturale [15].

Guido Vignelli

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[1] J. Messner, La cuestiòn social, Rialp, Madrid 1976, n. 109.

[2] Pio XI, Quadragesimo anno, n. 40.

[3] Pio XII, discorso del 23-9-1950.

[4] G. Toniolo, Capitalismo e socialismo, Comitato Opera Omnia di Giuseppe Toniolo, Città del Vaticano 1947, p. 202.

[5] L. Salleron, Les catholiquess et le capitalisme, La Palatine, Paris 1951, p. 33.

[6] Basti qui ricordare Le Play, Jannet, Blanc de Saint-Bonnet, Toniolo, Pesch, Fahey, Azpiazu, Vito, Messner, Utz e Salleron.

[7] H. Delassus S.J., Il problema dell’ora presente: antagonismo tra due civiltà, Effedieffe, Proceno di Viterbo 2012, vol. II, sez. V.

[8] H. Delassus, op. cit., vol. II, sez. V, cap. XXXVI.

[9] Ivi, cap. XXXIV.

[10] Cfr. R. Stark, La vittoria della ragione, Lindau, Torino 2011.

[11] J. Schall S.J., Il giusto modo di sconfiggere la povertà, Fede & Cultura, Verona 2017, p. 36.

[12] Cfr. H. De Soto, Il mistero del capitale. Perché il capitalismo ha trionfato in Occidente e ha fallito nel resto del mondo, Garzanti, Milano 2001.

[13] Questa vecchia illusione di Maritain è stata ripresa da Michael Novak, Lo spirito del capitalismo democratico e il Cristianesimo, Studium, Roma 1987, p. 75.

[14] A. Blanc de Saint-Bonnet, Le capital, Casterman, Paris 1888.

[15] Cfr. J. Horvat, Return to the order, The American Society for TFP, York (Pennsylvania) 2013, part II, cap V.

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