Per valutare la rivoluzione sanitaria globale, alla quale siamo stati avviati dalla recente epidemia virale, non basta appellarsi a retti princìpi morali validi in ogni tempo. Bisogna anche applicare questi princìpi alla situazione concreta che oggi stiamo subendo, considerandone sia l’origine che lo sviluppo, al fine di capire quali cause l’hanno prodotta e quali conseguenze potrà provocare.

Per sciogliere l’enigma dell’attuale situazione, proviamo quindi a riassumere gli antefatti storici che, a partire dalla metà del XX secolo, ci mostrano i tentativi fatti dalla Rivoluzione per distruggere la residua civiltà cristiana.

L’offensiva contro il “Cristianesimo borghese”

Fin dalla seconda guerra mondiale, la Rivoluzione cosmopolita ha tentato d’imporre il comunismo in tutto il mondo, all’insegna del motto: “non c’è alternativa, ce lo impone la Storia”. Ma questo tentativo fu ostacolato dalla opposizione sollevata dall’alleanza tra Cristianesimo tradizionale e borghesia conservatrice, per cui il comunismo riuscì a impadronirsi solo di certe aree geopolitiche ma non di altre.

Di conseguenza, la Rivoluzione fece in modo che il mondo fosse diviso in due blocchi contrapposti ma equilibrati e competitivi: quella liberale declinante in Occidente e quella comunista emergente in Oriente.

In mezzo a loro, all’interno dell’Europa, il la democrazia cristiana meridionale e la socialdemocrazia nordica fecero da mediatrici, al fine d’impedire reazioni anticomuniste decisive, e soprattutto fecero da ponti, al fine di trasbordare dolcemente i popoli dal primo blocco al secondo.

Tuttavia, dalla metà degli anni Sessanta, due eventi decisivi scossero questo equilibrio dinamico e precario.

Il primo evento fu il Concilio Ecumenico Vaticano II, che avviò la crisi del Cristianesimo tradizionale, favorendone il coinvolgimento nei movimenti filocomunisti per la “liberazione dei popoli”. Il secondo evento fu il Sessantotto, che avviò la crisi della borghesia conservatrice, favorendone il coinvolgimento nei movimenti permissivi e libertari.

Da allora, l’alleanza Cristianesimo-borghesia fu rotta e il “Cristianesimo borghese” non riuscì più a ostacolare l’avanzata del comunismo, anzi ne restò prima coinvolto e poi complice, ancora all’insegna del motto: “non c’è alternativa, ce lo impone la Storia”.

Quei due eventi erano nati dalla paradossale alleanza tra forze progressiste e forze regressiste, le quali miravano a “purificare” sia la Chiesa, riconducendola alle sue pretese origini proletarie e progressiste, sia la società borghese, riconducendola all’originario progetto utopistico giacobino e marxista.

Infatti, quei due eventi suscitarono una “distruzione creatrice” che animò una rivoluzione culturale e morale mirante a dissolvere le forme residue di autorità, gerarchia e solidarietà cristiane e borghesi. In questo modo, si riuscì a corrompere la vita quotidiana della società fin nelle sue radici familiari, educative, psicologiche e sessuali.

Dalle crisi parziali a quella globale

All’interno del mondo rivoluzionario, questo successo storico favorì il prevalere delle tendenze distruttive su quelle costruttive, ossia la dissoluzione dell’“uomo vecchio” sulla edificazione della “società nuova”.

In questo modo, la Rivoluzione finì col diventare un movimento anarcoide di grande popolarità ma di scarsa incidenza politica. Si trattava di una scelta inevitabile, anche perché serviva a nascondere alle masse il fallimento delle mirabolanti promesse fatte per secoli dall’originario progetto rivoluzionario.

Tuttavia, gli sviluppi dell’ultimo Concilio Ecumenico non riuscirono a creare il “nuovo cristiano”, ma solo a contrapporre due fazioni rivali – quella rivoluzionaria e quella tradizionale – nel contesto di un generale allontanamento dalla Chiesa e dalla Fede.

Parallelamente, gli sviluppi della rivolta sessantottina non riuscirono a creare il “nuovo rivoluzionario”, ma solo a contrapporre due fazioni rivali – quella anarchica e quella burocratica – nel contesto di un generale “riflusso” individualista disinteressato della vita sociale.

Col tempo, il successo di quei due eventi finì con l’esaurirsi. Verso la metà degli anni Ottanta, il modello sovietico era fallito e quello libertario si rivelava precario e sterile, per cui la Rivoluzione stava scivolando dalle crisi settoriali e locali a una crisi globale che esigeva un rimedio altrettanto globale.

Il tentativo della Unione Europea

Pertanto, sulla scia dei passati tentativi fatti prima dalla Società delle Nazioni e poi dall’O.N.U., la Rivoluzione riprese il suo vecchio progetto sinarchico mirante a forgiare una Repubblica Universale, una sorta d’impero cosmopolitico apparentemente neutro perché mosso da fattori economici e orientato da forze tecnocratiche.

La Rivoluzione tentò di riavviare questo progetto partendo da un esperimento continentale che prevedeva d’inglobare gli Stati nazionali in una Unione Europea, imposta ai popoli del continente all’insegna del solito motto: “non c’è alternativa, ce lo impone la Storia”.

Questa nuova Europa aveva il compito di riconciliare in sé Occidente capitalista e Oriente sovietico, inserendoli in una “casa comune” animata dalla “solidarietà globale”, ossia da una fraternité capace di superare le ostinate difficoltà avute nell’equilibrare la liberté con l’égalité, coniugando liberalismo e socialismo in una forma di collettivismo cooperativista.

Questa scelta presupponeva di realizzare in Europa una “ristrutturazione” (perestrojka) parallela a quella avviata nel mondo comunista. Essa consisteva in una riforma non solo politico-economica, ma anche culturale e religiosa, resa possibile da una “trasparenza” (glasnost) che permettesse agli eurocrati il controllo globale sulla vita quotidiana dei cittadini mediante una tecnologia onnipresente e onnipotente.

L’Unione Europea partì in fretta, ma nel suo sviluppo non riuscì a superare le resistenze degli Stati nazionali più potenti e soprattutto quelle dei popoli, anzi fu ostacolata sempre più dai nuovi venuti. Pertanto, la ingegneria istituzionale degli eurocrati dovette limitarsi a rattoppare una Unione parziale e inefficace, accontentandosi di mettere le nazioni sotto tutela.

Dopo il progetto di globalizzazione mondiale, anche quello di globalizzazione continentale restò così incompiuto.

La preparazione di un “salto di qualità”

Di conseguenza, importanti centri intellettuali progressisti cominciavano a lamentarsi che politica, clero e mass-media non riuscivano più a convincere l’opinione pubblica, che molte nazioni resistevano alla guida delle élites “illuminate”, che il metodo democratico-rappresentativo non era più adeguato a governare popoli ostinati nel restare chiusi, egoisti e immaturi.

Come rimedio per uscire dalla “palude moderata”, quei centri intellettuali auspicavano che il processo rivoluzionario facesse un salto di qualità per superare l’ostacolo. Parafrasando la famosa esortazione rivolta dal marchese de Sade ai giacobini del suo tempo, quelli del nostro reclamavano: “fate un ultimo sforzo, se volete davvero compiere la Rivoluzione!”

Questo sforzo consisteva nell’imporre una “svolta giacobina” guidata da un “nuovo Comitato di Salute Pubblica” che, mediante interventi autoritari, polizieschi e anche terroristici, riuscisse a diffondere un clima generale di confusione, odio e paura capace d’isolare e di abbattere ogni residua resistenza popolare.

Pertanto, dalle teorie si cominciò a passare ai fatti. Forse già temendo la crisi del globalismo, alcune forze rivoluzionarie cominciarono a preparare una falsa alternativa antiglobalista, nella prospettiva di rovesciare la costruzione della Repubblica Universale nella sua frammentazione.

Non a caso, da allora nacquero o presero piede fenomeni devastanti come l’ecologismo radicale, i movimenti no global, l’immigrazione clandestina di massa, l’espansionismo e il terrorismo islamici, la persecuzione dei cristiani, tutti miranti a sciogliere la solidarietà sociale in Occidente.

Com’è noto, per verificare se il mondo occidentale fosse disposto a cedere alla nuova offensiva globale, la Rivoluzione tentò un primo esperimento sociale di massa, avviato negli Stati Uniti d’America e altrove, usando prima gli attentati terroristici islamici, poi le crisi del sistema economico.

Parallelamente, la Rivoluzione tentò l’offensiva del “politicamente corretto”, al fine di demonizzare e cancellare le identità non tanto politiche quanto culturali dei popoli occidentali. Recentemente, questa offensiva è stata ripresa dai movimenti –come Woke e Black Lives Matter – che propagandano e impongono la “cancel culture”. Parallelamente, la recente nuova fase di auto-demolizione della Chiesa tende a favorire questa vasta campagna sovversiva anticristiana.

Tuttavia, anche questo esperimento non ha prodotto tutti i risultati sperati dai loro promotori.

La pandemia come occasione rivoluzionaria

E’ a questo punto che è sorto un fenomeno inaspettato e improvviso, almeno per la gente comune: la pandemia da CoViD-19. La sua provenienza dalla Cina potrebbe essere accidentale, oppure provocata dapprima per avviare una offensiva chimico-batteriologica, poi per presentare il regime cinese come modello capace di ristabilire la “normalità”.

Questa pandemia sta costringendo i cittadini a cambiare le abitudini quotidiane e i sistemi politici ad adeguarsi alle esigenze imposte da “emergenze globali” che – indipendentemente dalla reale situazione sanitaria – si rinnovano e si accavallano. sovvertendo non solo la pubblica sanità ma anche produzione, commercio, insegnamento, circolazione, turismo e ambiente, insomma l’intera vita civile.

Premuti dalla tecnocrazia mondialista, molti Governi si sono rapidamente approfittati della pandemia per imporre ai popoli divieti e obblighi sempre più invasivi ed estesi che trasformano l’eccezione in norma, l’irregolare in regolare, l’emergenza in normalità e il provvisorio in definitivo.

Ciò ha permesso di varare senza discuterne provvedimenti restrittivi della libertà, gravemente invasivi della vita privata e del tutto sproporzionati al fine ufficialmente proclamato, i quali pertanto sono inutili alla pubblica sanità e dannosi al bene comune, ma servono a tentare un nuovo “esperimento sociale di massa” al quale nessun individuo potrà sfuggire, come ieri voleva Mao e oggi vuole Xi Jinping.

Quei provvedimenti emergenziali tendono principalmente a imporre alla società un nuovo sistema di potere tecnologico capace di realizzare quella “trasparenza” (glasnost) che permette di controllare capillarmente ogni aspetto della vita quotidiana mediante le nuove tecnologie digitali.

A sua volta, questo sistema mira ad avviare un progetto di “completo azzeramento” (great reset) politico-economico e di “ristrutturazione ecologica” (perestrojka), da tempo annunciato dai vertici rivoluzionari. Tutto questo viene fatto all’insegna del motto: “non ci sono alternative, ce lo impone – non più la Storia ma – la Natura”.

Insomma, l’emergenza sanitaria costituisce una preziosa occasione abilmente sfruttata dalla Rivoluzione per tentare quel “salto di qualità” che le permetterà di uscire dalla crisi che subisce. Resta secondaria la questione se ciò avverrà costruendo una nuova globalizzazione o distruggendo quella vecchia; la scelta dipenderà dalla fazione rivoluzionaria che prevarrà nei prossimi mesi, se sarà la “mano destra” della costruzione o quella “sinistra” della distruzione.

La lezione della crisi presente

Il panorama del recente passato fin qui tratteggiato ci permette di trarne una lezione utile per il presente e forse anche per il futuro.

La Rivoluzione ha confermato la sua audacia e il suo cinismo che le permettono di sfruttare tutte le occasioni pur di rinviare il proprio fallimento. Invece di ammettere i propri errori e di rimediare ai propri orrori, essa ha lanciato un’ultima offensiva, senza timore di dire il contrario di ciò che aveva sempre affermato, di smentire le promesse che aveva sempre fatto, di causare danni opposti ai benefìci che aveva sempre assicurato.

Eppure, proprio questa scelta estrema costringe la Rivoluzione a smascherarsi, la espone all’accusa di cadere in contraddizioni evidenti e d’imporre provvedimenti liberticidi e rovinosi. Quanto più essa è costretta a diventare tirannica, tanto più perde consensi e solleva reazioni popolari che fanno pensare a un Sessantotto alla rovescia, ossia non sovversivo e favorito dal potere ma anzi reattivo e represso dal potere.

Ciò conferma che la Rivoluzione sta subendo una crisi grave e forse insuperabile, anche per mancanza d’idee seducenti e di personalità soggioganti, che la costringe non a evolversi ma a una mutazione mortale.

Un acuto osservatore come Giorgio Agamben ha osservato: “Se le potenze che governano il mondo hanno ritenuto di dover ricorrere a misure e dispositivi così estremi, come la bio-sicurezza e il terrore sanitario, (…) ciò è perché temevano, secondo ogni evidenza, di non aver altra scelta per sopravvivere” (A che punto siamo? L’epidemia come politica, Quodlibet, Macerata 2021, p. 89).

Purtroppo, il vero problema del nostro tempo sta non nel comportamento del fronte rivoluzionario, ma in quello del fronte contrario, composto da moderati, conservatori e reazionari, che risulta incapace di reagire adeguatamente in quanto resta incerto e diviso sul da farsi. Infatti, esso oscilla tra moderatismo ed estremismo, tra ansia di salvare comodità precarie e rabbia per salvare libertà minacciate.

Ad esempio, alcuni auspicano una sorta di ralliement ai Governi in carica per salvare un malinteso “bene comune” che riduce la salvezza alla salute; altri diffidano della reazione popolare e ripiegano su una ritirata rinunciataria o su una rivolta minoritaria; in ogni caso, si rischia la sconfitta. Resta quindi valido il vecchio ammonimento di sant’Agostino: “Tutta la forza dei malvagi sta nella debolezza dei buoni”.

Rimane comunque la speranza che la reazione degli ambienti lucidi e sani cresca tanto efficacemente da riuscire a prevalere prima di essere schiacciata dalla repressione tentata dagli ambienti rivoluzionari. Bisogna quindi pregare la Madonna affinché i cristiani reagiscano con prudente audacia per non sprecare questa nuova occasione offerta dalla divina Provvidenza in favore di questa santa causa che unisce il bene della Chiesa con quello della patria.

Guido Vignelli

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