Benedetto XVI si è occupato di tanti aspetti particolari della Dottrina sociale della Chiesa, soprattutto nella Caritas in veritate (2009), ma va riconosciuto che il suo apporto è stato più fondativo che tematico, essendosi egli concentrato sull’architettura piuttosto che sui singoli dettagli o aspetti particolari della costruzione.

Di recente c’è stata una ripresa di interesse per il tema della “teologia politica”[1], che non poteva tralasciare di esaminare anche il pensiero di Ratzinger-Benedetto XVI. In questo contesto, il suo pensiero viene interpretato come un ritorno alla visione pre-costantiniana, o meglio pre-teodosiana, del rapporto tra fede cattolica e politica. Nel discorso alla Curia Romana del 23 dicembre 2005 sull’ermeneutica conciliare, Benedetto XVI ha detto che con il Vaticano II e in particolare con la Dichiarazione Dignitatis humanae, la Chiesa è stata sollecitata dalla modernità a riscoprire la tradizione dei suoi martiri, che pregavano per l’Imperatore ma rivendicavano davanti allo Stato il diritto alla libertà di religione. Benedetto XVI, quindi, avrebbe considerato negativamente tutto il periodo posteriore, diciamo dall’editto di Tessalonica (380), che rendeva il cristianesimo unica religione di Stato, fino al Vaticano II.

Un simile giudizio, che qui ho solo ricordato per cenni, va adeguatamente approfondito, in quanto implica una gran quantità di altri giudizi complementari. Il problema di fondo, tuttavia, mi sembra consistere nel fatto che Benedetto XVI non ha mai cessato di insegnare la “centralità di Dio” nella costruzione della società terrena, né di dire che il compito dei laici in politica è quello di aprire un posto per Dio nel mondo. Ammesso che Ratzinger-Benedetto XVI consideri sbagliato uno Stato confessionale (ma quante cose andrebbero chiarite a questo proposito per non ridurre questa problematica ad un semplice slogan …) va certamente respinta l’idea che da ciò derivi una accettazione della “autonomia” del mondo nel senso proposto da tante correnti teologiche postconciliari e senz’altro negata dal Concilio. In altre parole, la critica allo Stato confessionale nella forma della “cristianità” (ma, ripeto, bisognerebbe approfondire come il modello di cristianità, una formula in sé ambigua, si è realmente costruito ed evoluto) non comporta in lui la rinuncia alla centralità di Dio per avere un potere, una politica ed una legge veramente a misura di persona umana. Con il che viene anche criticato l’umanesimo troppo umano, il personalismo troppo orizzontale, il bene comune troppo confuso con l’interesse generale.

Se nell’attuale epoca storica, la Chiesa ha approfondito la sua dottrina della libertà di coscienza e di religione, precisandola e nello stesso tempo distinguendola chiaramente da quella propria della modernità, ciò non significa che i laici – ma direi anche la Chiesa tutta, nella diversità dei carismi che in essa convivono – non abbiano il dovere di ribadire che senza Dio la società umana non si costruisce ma si distrugge[2].

L’insegnamento di Benedetto XVI non si ferma però qui. Egli ha chiaramente detto che di fronte a Dio non esiste neutralità, né da parte delle persone né da parte delle società. Costruire un mondo senza Dio non vuol dire costruire un mondo neutro. Un mondo senza Dio è un mondo senza Dio e non un mondo neutro. In questo modo Benedetto XVI, che ha avuto sovente parole di apprezzamento per le società caratterizzate da una “laicità aperta”, ci ha insegnato a non illuderci che possa esistere una laicità che non accetti la centralità di Dio esimendosi dall’essere perciò contro Dio e contro l’uomo: «là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo»[3].

Benedetto XVI ha insegnato con insistenza e decisione – anche se non sempre adeguatamente seguito in ciò – che la fede cattolica esige per sua natura un “ruolo pubblico”. Ma in cosa consiste questo ruolo pubblico? Nel partecipare, insieme a tutte le altre religioni, a dare una mano per la costruzione di un generico bene comune non meglio specificato? Oppure a manifestare in pubblico la pretesa di essere l’unica religione vera che, in dialogo con tutti e nel rispetto di tutti, ritiene però di avere il dovere di porre alla ragione politica, senza violarne la legittima autonomia, le questioni fondamentali e di essere l’unica a poterlo fare? Può esistere un bene comune, per esempio, senza il rispetto della legge naturale? E religioni che non ammettono la legge naturale possono dare un vero contributo per il bene comune? E la religione cattolica, l’unica che abbia titolo per fondare, conservare e proteggere la legge naturale, è allora solo una religione tra le altre nella pubblica piazza oppure può aspettarsi nei propri confronti un dovere delle persone e delle società[4]? Benedetto XVI è chiaro: del bene comune fa parte anche la religione cattolica, che anzi ne è il fondamento.

Benedetto XVI non ha mai cessato di appellarsi a questa centralità di Dio e a considerare la fede cattolica come indispensabile, e non solo utile, per la costruzione della società. Lo ha fatto anche nell’attuale società ormai talmente secolarizzata da non comprendere nemmeno più un simile discorso. Lo ha fatto perché la prima preoccupazione deve essere di dire la verità, come stanno le cose, perché solo così, in tempi meno oscuri e quando al Signore piacerà, le cose potranno rimettersi a posto. Nei limiti che questo può significare nella città terrena.

Arcivescovo Giampaolo Crepaldi

[Editoriale pubblicato in “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”, IX (2013) 4, pp. 131-132)


[1] M. Borghesi, Critica della teologia politica. Da Agostino a Peterson; la fine dell’era costantiniana, Marietti 1820, Genova-Milano 2013; 

[2] Cf S. Fontana, Il Concilio restituito alla Chiesa. Dieci domande sul Vaticano II, prefazione di G. Crepaldi, La Fontana di Siloe,  Torino 2013, pp. 125-144; G. Crepaldi, Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa, Prefazione del Cardinale Angelo Bagnasco, Cantagalli, seconda edizione, Siena 2012, pp. 57-66;

[3] Benedetto XVI, Discorso alla curia romana per gli auguri natalizi, 21 dicembre 2012.

[4] Concilio Vaticano II, Costituzione Dignitatis humanae, n. 1.

Mons. Giampaolo Crepaldi

Vescovo Emerito di Trieste

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